Ospite a “È sempre Cartabianca” su Retequattro Rita Dalla Chiesa è tornata a parlare dell’omicidio del padre, replicando a Stefano Andreotti, che ai microfoni Rai aveva commentato le allusioni circa una possibile responsabilità del padre Giulio nella morte del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. “Io me lo sono chiesto perché sia venuta fuori questa valanga. – ha affermato – Sono cose che io e i miei fratelli andiamo dicendo da quarantadue anni, da quando è morto papà. Lo abbiamo sempre detto: l’omicidio di mio padre è stato un omicidio politico. E quella frase (“Preferisco andare ai battesimi che ai funerali”, ndr) non è stata una battuta sbagliata, purtroppo (Giulio Andreotti, ndr) l’ha detta. Io ricordo ancora che avrei voluto spaccare il televisore, non ci credevo. Non pensavo potesse dire una cosa del genere”.
“Mio fratello disse, subito dopo la morte di papà, ‘Cercate i mandanti nella Democrazia Cristiana’. – ha continuato la Dalla Chiesa – La corrente andreottiana in Sicilia era veramente molto forte. Quando mio padre fu mandato come Prefetto a Palermo… È vero che Andreotti in quel momento non aveva alcun incarico politico… Lo andò a salutare, come andò a salutare tutti i politici. Andreotti gli disse una frase, che non è una mia frase. È una frase scritta da mio padre sul suo diario che scriveva tutte le sere a mia madre da quando era mancata. Disse: ‘Stamattina sono andato a salutare Andreotti e lui mi ha detto, mi raccomando, abbia riguardo per la mia corrente in Sicilia perché chi si è messo contro la mia corrente poi in qualche modo è sempre uscito con i piedi in avanti’. Questi diari sono stati consegnati, quando li abbiamo trovati, al giudice Falcone. Non è che noi non ci siamo rivolti ai magistrati. Le cose che diciamo le abbiamo constatate e dette al Maxiprocesso”.
E ancora: “Una cosa del genere ti devasta la vita per sempre. Io ho 77 anni, ancora oggi sono devastata da quello che mi è successo, proprio perché ancora, in qualche modo, ho una verità che mi sfugge, che scappa. Nessuno ci ha detto veramente cos’è successo, perciò noi ci siamo aggrappati a tutto quello che abbiamo trovato. Non elabori il lutto per la morte di un padre che è stato lasciato da solo dalle istituzioni a combattere la guerra contro la mafia. Cerchi di vivere la tua vita nel principio grande, sommo del rispetto per la giustizia e di tutto quello in cui credeva tuo padre e in ciò che ti ha insegnato, soprattutto con la sua fine”.
“Nel momento in cui mio padre viene ucciso non aveva nessuna scorta. – ha spiegato Rita Dalla Chiesa – C’era la sua seconda moglie (Emanuela Setti Carraro, ndr) e l’appuntato Domenico Russo che lo seguiva. Ma non aveva una scorta, non aveva nulla. Un’altra frase che mi fece molto male quando Andreotti si trovò a commentare (la morte, ndr) su un giornale: ‘Questo succede quando si risposano delle ragazze più giovani”. Questo fu il commento, perché lei era andata a prenderlo in Prefettura con la sua 112 per andare a mangiare al mare, alla Torre di Mondello, quindi si era esposto a questo rischio perché aveva una moglie giovane vicino“.
Insomma alla fine “Papà è stato realmente lasciato solo. È arrivato in una Prefettura che era mezza vuota, dove esistevano dei personaggi all’interno che erano collusi con dei mafiosi, perché erano il cognato, il fratello, eccetera. Non ha trovato una situazione facile a Palermo. A Ferragosto eravamo insieme nella nostra casa di campagna vicino Avellino e ricordo le telefonate che faceva a Spadolini, a Rognoni, a De Mita, a chiunque per avere non i superpoteri, ma le chiavi per poter accedere a quello che avrebbe dovuto essere il suo lavoro. A quel punto, tu capisci che tuo padre è stato lasciato solo”.
E infine: “Se Andreotti gli ha detto di non andare in Sicilia a fare il Prefetto è perché evidentemente non aveva nessun interesse che andasse a scoprire alcune grosse magagne della sua corrente in Sicilia. Il figlio di Andreotti non c’entra niente. Ha detto che vorrebbe incontrarmi, io sono qui. Anzi, mi farebbe molto piacere incontrarlo, parlare con lui anche dei nostri padri perché niente deve ricadere sui figli”.