“Dove sei, amore, sono la mamma”. E altri, numerosi, strazianti messaggi che la madre di Yara Gambirasio aveva inviato alla segreteria del telefono della 13enne dopo la sua scomparsa nel novembre 2010. Infilate una dopo l’altra, un rosario di dolore privato, nella docuserie di Gianluca Neri in onda su Netflix. Conversazioni private, che non hanno mai avuto un ruolo nella ricostruzione della vicenda, eppure ora rese pubblicate in Il caso Yara, oltre ogni ragionevole dubbio.
Una diffusione di fronte alla quale i genitori della giovane di Brembate, Maura Panarese e Fulvio Gambirasio, hanno deciso di agire. Ad annunciarlo sono stati i loro legali, Andrea Pezzotta ed Enrico Pelillo: “Siamo indignati. Faremo un esposto al garante della Privacy: c’è stata un’incursione nella vita di questi genitori senza che ci fosse una reale necessità e senza chiedere alcuna autorizzazione”, hanno anticipato al settimanale Giallo.
Nei giorni seguenti alla scomparsa di Yara Gambirasio, assassinata la sera stessa da Massimo Bossetti, il telefono di famiglia venne messo sotto controllo. Non saltò fuori nulla di interessante sotto il profilo investigativo. Solo decine di telefonate disperate con parenti e amici, oltre ai tentativi della madre di contattare la figlia sul telefonino. Le intercettazioni erano così irrilevanti da non finire agli atti dell’inchiesta confluiti nel processo perché, spiegano i legali della famiglia, erano inutili ai fini della ricostruzione giudiziaria della vicenda. A spiattellarle al pubblico ci ha pensato la docuserie, nel corso della quale più volte viene posto l’accento sull’enfatizzazione mediatica di particolari superflui alla ricostruzione giudiziaria del caso.
Nello stesso prodotto di Netflix era stato dato anche ampio spazio alla vicenda che ha visto coinvolto la pm Letizia Ruggieri, indagata per per frode in processo e depistaggio in relazione alla conservazione dei 54 campioni di Dna – estratti dagli abiti di Yara Gambirasio e contenenti la traccia mista di vittima e assassino – spostati dal frigo dell’ospedale San Raffaele all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo. Negli scorsi giorni, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, Alberto Scaramuzza, sposando la tesi dell’accusa, ha disposto l’archiviazione per la pubblico ministero.