Sono passati dieci anni dalla sparizione forzata dei 43 studenti della Scuola normale rurale “Raúl Isidro” Burgos di Ayotzinapa a Iguala, nello Stato di Guerrero in Messico, e ancora non si conosce che cosa è successo ai ragazzi e dove si trovano. La scomparsa degli studenti, avvenuta tra la notte del 26 e la mattina del 27 settembre 2014, è una delle ferite aperte del Messico contemporaneo e incarna in modo emblematico la connivenza tra la polizia statale e federale, l’esercito e il crimine organizzato.

A oggi sono stati identificati solamente i resti di tre giovani e le domande sulla vicenda, contaminata da insabbiamenti e prove false, non hanno risposta. Le organizzazioni della società civile e in difesa dei diritti umani, che assistono le famiglie, denunciano le numerose barriere incontrate per avere informazioni e ottenere giustizia. Il presidente uscente López Obrador è stato criticato per non aver mantenuto la promessa di chiudere il caso, mentre la neo-eletta Claudia Sheinbaum, che entrerà in carica a ottobre, ha dichiarato che le indagini proseguiranno. La scomparsa dei 43 studenti, ogni anno ricordata da una manifestazione nella capitale, ha colpito profondamente la società messicana e rappresenta un esempio delle violenze subite dalla popolazione civile.

Nel Paese le sparizioni forzate sono un lutto continuo. Secondo il Registro nazionale delle persone scomparse e non localizzate, dal 1950 all’agosto 2024 sono almeno 116.386 le persone che mancano all’appello. Amnesty International segnala che, nonostante nuovi protocolli e leggi, nel Paese il numero dei desaparecidos è aumentato radicalmente negli ultimi anni, in particolare dal 2006 quando il governo di Felipe Calderón ha militarizzato la pubblica sicurezza come strategia per combattere la criminalità organizzata.

Secondo il Centro Prodh, organizzazione che supporta le famiglie degli studenti di Ayotzinapa, a luglio di quest’anno negli obitori erano custoditi 52 mila corpi non identificati: la cifra testimonia l’insufficienza di risorse e personale per potere investigare in profondità. Come nel caso di Ayotzinapa.

La vicenda: la responsabilità della polizia, delle gang e l’insabbiamento dei servizi- Si sa che gli studenti si stavano dirigendo a Iguala con l’intenzione di “occupare” un autobus e raggiungere Città del Messico per partecipare alla manifestazione annuale in memoria del massacro di Plaza de Tlatelolco commesso dai militari il 2 ottobre 1968. L’intenzione era “dirottare” un autobus e arrivare nella capitale, una pratica comune: gli studenti delle scuole rurali del Paese “occupano” veicoli per i loro viaggi e poi li restituiscono, accordandosi con gli autisti. Quel giorno, mentre provavano a lasciare Iguala a bordo di cinque autobus, sono stati aggrediti con colpi di arma da fuoco in due diverse imboscate e fermati dalla polizia.

Gli agenti avrebbero prelevato un gruppo di venti ragazzi nel nord della città, a Juan N. Álvarez e Periférico, e un altro gruppo di venti ragazzi lungo il tratto Periférico Sur. In dieci anni di ricerche, gli investigatori hanno dimostrato che durante la notte alcuni membri dell’organizzazione criminale Guerreros Unidos e poliziotti avevano avuto contatti, comunicazione di cui l’esercito era a conoscenza. Inoltre le indagini hanno ricostruito che sulle scene dell’aggressione erano presenti militari e agenti dell’intelligence, oltre alla polizia statale e federale.

Durante la presidenza di Enrique Peña Nieto (2012-2018), è stata difesa la cosiddetta “verità storica” fornita dalla procura, negando qualsiasi coinvolgimento dei militari e quindi assolvendo lo Stato. Secondo la versione fornita dall’ex procuratore generale Jesús Murillo Karam, i 43 studenti sarebbero stati arrestati dalla polizia municipale di Iguala e consegnati al cartello dei Guerreros Unidos. Sarebbero stati assassinati e sarebbe stato dato fuoco ai loro corpi in una discarica a Cocula, vicino Iguala. Il gruppo criminale avrebbe poi gettato i resti nel vicino fiume di San Juan.

Le indagini: “omissioni e contraddizioni” della versione ufficiale – Nel 2016 gli investigatori dell’Equipo argentino de antropologia forense (Eaaf), chiamati a lavorare come esperti indipendenti dai familiari degli studenti, hanno dimostrato che era impossibile che i 43 cadaveri fossero stati bruciati nella discarica e hanno definito la versione della procura piena di “omissioni, irregolarità e contraddizioni”.

La stessa critica è stata mossa dal Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei), creato dalla Commissione interamericana sui diritti umani (Iachr) per indagare sul caso. Secondo il Giei, sulle due scene del crimine erano presenti agenti della polizia e dell’esercito, che potrebbero avere agito per recuperare un carico di eroina nascosto in uno degli autobus: all’insaputa degli studenti, il mezzo sarebbe stato usato dei Guerreros Unidos per trasportare droghe negli Stati Uniti.

La versione della procura si è ulteriormente indebolita quando sono stati identificati i resti di due vittime, Christian Alfonso Rodríguez nel 2020 e Jhosivani Guerrero de la Cruz nel 2021, entrambi rinvenuti in un burrone a 800 metri di distanza dalla discarica di Cocula, un luogo diverso rispetto a quello che fino a quel momento era stato presentato come il “destino final” dei 43 studenti. I resti di Alexander Mora Venancio erano invece stati ritrovati nel fiume San Juan nel 2014.

Oggi gli investigatori ipotizzano che gli studenti siano stati suddivisi in gruppi, uccisi in luoghi diversi e che i cadaveri siano stati bruciati, fatti a pezzi o sciolti nell’acido e i resti nascosti in pozzi, miniere abbandonate, burroni.

La cortina fumogena non si dirada – All’interno della radicata rete criminale del territorio, non c’è certezza di chi sia stato né delle motivazioni dell’attacco in un Paese dove il tasso di impunità dei reati è al 90%. Appena entrato in carica nel dicembre 2018, il presidente López Obrador aveva creato una Commissione per l’accesso alla verità e un’unità speciale della procura per indagare sui fatti. Tuttavia nel 2023 il Giei, dopo otto anni di indagini, si è ritirato dal caso e ha denunciato i numerosi ostacoli incontrati nell’accesso a informazioni cruciali, in particolare quelle relative alle presunte responsabilità dei militari. Nel loro ultimo rapporto, i ricercatori hanno parlato di un sistematico occultamento delle informazioni e della mancanza di cooperazione da parte dell’esercito e delle autorità.

Nonostante siano stati compiuti piccoli progressi, gli esperti hanno denunciato che non sono stati forniti tutti i fascicoli relativi al caso necessari per procedere con le indagini. Il rapporto con le famiglie delle vittime è arrivato a un ulteriore punto di rottura a luglio, quando in un incontro con il presidente López Obrador i familiari avevano chiesto di avere accesso a 800 documenti militari. Ne sono stati consegnati solo quindici.

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