Economia & Lobby

Da Berlino e Madrid no ad Urso sul rinvio della scadenza per la transizione all’elettrico entro il 2035. L’ok? Da Malta e Cipro

Adolfo Urso ci aveva creduto. La corazzata Germania al suo fianco nell’italica battaglia per rallentare il percorso di riduzione delle emissioni nocive delle automobili. Dopo l’entusiasmo di alcuni giorni, mercoledì la doccia tiepidina. Nel giorno in cui Urso presentava il suo piano a Bruxelles, il ministro dell’Economia tedesco Habeck spiegava che si, alcune cose vanno sistemate ma la scadenza del 2035 per la fine della produzione di auto a benzina e diesel non è in discussione.

Oggi la doccia si è fatta ghiacciata. “La Germania non vuole indebolire le regole climatiche, per noi gli obiettivi climatici sono fondamentali e vediamo già un pericolo che l’industria Ue non regga la competizione con veicoli elettrici provenienti da altrove. Il nostro obiettivo non è mettere in discussione l’uscita dal motore endotermico nel 2035 e non chiediamo nuovi biocarburanti, che non sono climaticamente neutrali”, scandisce il segretario di Stato tedesco agli Affari economici, Sven Giegold, arrivando al Consiglio Ue Competitività. Con il ministro Urso “abbiamo avuto un colloquio amichevole ma non nello stesso spirito, non vogliamo ridiscutere il target del 2035″.

Sulla stessa linea la Spagna: “Siamo convinti di dover mantenere l’ambizione ma rafforzare gli strumenti per raggiungere questi obiettivi”, ha detto il ministro spagnolo dell’industria e del turismo, Jordi Hereu rispondendo a una domanda sui colloqui avuti nei giorni scorsi con il ministro Adolfo Urso. A condividere le posizioni del ministro italiano ci sono al momento Romania, Repubblica Ceca, Malta, Lituania e Slovacchia.

“Con la Germania non c’è stata nessuna incomprensione. Con il vice cancelliere Robert Habeck ieri abbiamo parlato di queste misure e lui ha ribadito che per la Germania il target al 2035 per lo stop alla vendita di auto a combustione interna deve rimanere”, ah spiegato Urso.

A questo punto l’unica speranza è però un cambio di cancelliere e di governo in Germania, eventualità non impossibile. Se Friedrich Merz prendesse il posto di Olaf Scholz è quasi certo che appoggerebbe un rinvio delle scadenze. Ma senza il supporto tedesco la linea Urso ha poche speranze anche perché non si capisce bene a nome di chi il ministro parli. In Italia c’è un unico produttore, Stellantis. E il numero uno Carlos Tavares è stato tra i primi ad esprimersi contro il rinvio delle scadenze: “Cambiare adesso le norme sarebbe surreale. Tutti conoscono da molto tempo quali sono le regole e hanno avuto tempo per prepararsi. Adesso è il momento di gareggiare”.

Del resto, insieme a Bmw e Toyota, Stellantis sta raggiungendo gli obiettivi o è prossima a farlo. Viceversa Renault e Volkswagen sono più indietro. L’industria dell’auto europea mette in conto di dover pagare sanzioni per 13 miliardi di euro per le auto e 3 miliardi di euro per i furgoni, a causa del mancato raggiungimento dei target che scattano il prossimo anno. Ma le multe graveranno in maniera molto diversa tra i vari marchi che quindi hanno posizioni diverse sulla questione.

Lasciato solo Urso insiste. “Dobbiamo allineare la politica ambientale con quella industriale. Il rischio concreto che corre il settore è la scomparsa di interi segmenti industriali e la distruzione di posti di lavoro. Se non interveniamo subito, tra qualche mese troveremo qui fuori gli operai dell’industria europea, come abbiamo trovato qualche mese fa gli agricoltori europei”, dice il ministro nel suo intervento al Consiglio Competitività in corso a Bruxelles. L’impressione è che Urso cerchi un qualche capro espiatorio dopo i fallimentari tentativi del governo di rilanciare i volumi produttivi di quattroruote in Italia.

Sulle normative ambientali Urso attacca a 360 gradi. “È chiaro a molti, e anche in Italia, che è assolutamente necessario rivedere il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere che potrebbe essere una tagliola, un ostacolo insormontabile”, dice il ministro che aggiunge: “La cosiddetta carbon tax entrerà in vigore solo dal 2026 ma da quello che ci dice l’industria siderurgica alcuni meccanismi garantiranno con difficoltà una effettiva capacità concorrenziale sul piano continentale e globale”.

“Spagna, Germania, Francia, Polonia, Svezia, tutti i principali Paesi europei hanno cestinato la proposta di Urso. Al Consiglio Ue Competitività appena 5 Paesi l’hanno sostenuta, persino l’Ungheria di Orban ha risposto picche al governo italiano. Altro che centralità dell’Italia, Meloni che conta di più in Europa, la realtà dice ben altro”, commenta Valentina Palmisano, europarlamentare del Movimento 5 Stelle.