Sono già diversi mesi che le società scientifiche chiedono al ministero della Salute e all’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di far sì che la somministrazione dell’anticorpo monoclonale nirsevimab sia gratuita per tutti, a carico del Sistema sanitario nazionale. E non solo per le Regioni del Nord con i conti a posto. Le società avevamo chiesto che il nirsevimab – il farmaco per la cura del virus respiratorio sinciziale, che può causare gravi insufficienze respiratorie nei bambini – venisse trattato al pari dei vaccini: reso disponibile per tutti, in un piano generale di prevenzione. Invece così non è stato. Dalla contrattazione tra l’Aifa e l’azienda produttrice del monoclonale, Sanofi, è venuto fuori un “un gran pasticcio che favorisce la compagnia farmaceutica che fabbrica e vende il prodotto”, come lo ha definito al Fatto Quotidiano Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Mario Negri. Ora il ministero e l’Aifa stanno cercando di accelerare i tempi per far sì che tutti i bambini possano essere protetti. Ma il picco dell’epidemia si avvicina e i due mesi preventivati per trovare una soluzione sono troppi per Luigi Orfeo, presidente della Società Italiana Neonatologia (Sin): “I primi casi si osserveranno già nel mese di ottobre – spiega a ilfattoquotidiano.it -. Avremmo voluto cominciare le somministrazioni già per allora. Invece qui si parla di fine novembre”.

Le soluzioni sono due. La prima è che Sanofi accetti di trattare il prezzo con Aifa, riducendolo, per far sì che il farmaco venga inserito in fascia A – dunque sia a carico del Ssn – e non più in fascia C. La seconda è che un provvedimento del ministero della Salute equipari il monoclonale a un vaccino e lo inserisca nel calendario immunologico, valido per tutto il Paese, senza differenza tra Regioni in deficit o meno. “Tutti devono poter accedere a questa profilassi. Sarebbe inaccettabile che un bambino nato a Milano fosse protetto da gravi insufficienze respiratorie e uno nato a Cosenza no”, commenta Orfeo. “L’efficacia di questo farmaco è stata provata anche in altri Paesi, come Francia, Spagna e Germania, dove lo hanno già iniziato a utilizzare. Ci sono stati risultati persino migliori rispetto agli studi sperimentali. Con una riduzione delle ospedalizzazioni che si aggira attorno al 90%. In Italia, ogni anno, circa 3mila bambini finiscono in terapia intensiva”. Il nirsevimab è un anticorpo a lunga durata d’azione. La somministrazione avviene in un’unica iniezione intramuscolare che copre i bimbi per tutto il periodo epidemico, circa 5-6 mesi. “Se noi iniziamo la profilassi a novembre, riusciamo a coprire i nuovi nati per tutto il periodo epidemico – commenta il presidente della Sin -. Dovremmo somministrarlo ai bambini che hanno meno di sei mesi, i più soggetti a infezioni gravi”. Considerando che in Italia ci sono meno di 400mila nuovi nati l’anno, che circa il 70% di questi dovrebbe accedere alla profilassi, e che il prezzo per ogni singola dose oscilla tra i 200 e i 250 euro, le stime quantificano le risorse necessarie per l’immunizzazione tra i 70 e 100 milioni di euro.

“Fino ad adesso, negli ultimi 25 anni, è stato usato il palivizumab. Un anticorpo con costi molto più alti, mille euro a fiala. Deve essere somministrato una volta al mese, per cinque mesi. Quindi la spesa totale è di almeno 5mila euro”, commenta il presidente. Il palivizumab è però riservato solo ai soggetti più a rischio: gravi prematuri, soggetti con cardiopatie congenite, con alterazioni dell’immunità o affetti da alcune malattie neuromuscolari. Questa profilassi, che verrebbe sostituita dall’utilizzo del nirsevimab, viene fatta in ospedale ed è rimborsata completamente dal Ssn. “La sostituzione comporterebbe un aggravio di spesa – spiega Orfeo -, perché invece di somministrare l’anticorpo a una piccola percentuale della popolazione, andrebbe fatto a quasi tutti i nuovi nati. Però, oltre a risparmiare i soldi prima spesi per il palivizumab, recupereremmo tutti quei costi causati dalle migliaia di infezioni che avvengono ogni anno. Come le spese per i farmaci o per le giornate di degenza ospedaliera. La prevenzione riduce sempre i costi”. Ma soprattutto, conclude Orfeo: “Come si fa ad avere a disposizione un farmaco, la cui efficacia è risaputa, e a non somministrarlo? Come spieghi a un genitore che suo figlio ha avuto una grave infezione perché non eravamo in grado di garantirgli un farmaco da 200 euro?”.

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