La Linea Blu che separa Israele dal Libano è il simbolo di una pace che tra i due Paesi non si è mai veramente concretizzata. Troppe le violazioni degli accordi, gli attacchi alle forze di interposizione dell’Onu, le nuove invasioni. Oggi, con Tel Aviv che ha sganciato già migliaia di bombe sul Paese dei Cedri, quella pace mai arrivata sembra ancora più lontana. Il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu, continua a ripetere che quella in corso non è una guerra non contro il Libano, ma contro Hezbollah, il partito sciita alleato dell’Iran considerato una minaccia alle porte dello ‘Stato ebraico’. Le immagini che arrivano dal Paese raccontano altro: aree residenziali sventrate, raid indiscriminati, civili uccisi o invitati ad abbandonare le proprie case. Mentre i massacri a Gaza vanno avanti, i riflettori sulla Striscia si sono spenti per riaccendersi sul fronte nord: con il timore di un’invasione di terra, quella iniziata dal governo di Tel Aviv sta assumendo sempre più le sembianze di una nuova Guerra del Libano. Per capire come si sia arrivati a questo livello di tensione, che rischia di sfociare in un conflitto diretto con Beirut, è necessario ricordare i rapporti storicamente tesi tra i due Paesi e la nuova svolta rappresentata dal sanguinoso attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

Le invasioni israeliane del Libano
L’inizio dello scontro tra Hezbollah e Israele coincide esattamente con la nascita del Partito di Dio, ma arriva dopo la decisione dello Stato ebraico di invadere il Libano nel contesto della Guerra Civile libanese che si è protratta dal 1975 al 1990. Col massiccio afflusso nel Sud del Libano di militanti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, in fuga dalla Giordania, si creò presto una presenza costante, radicata e massiccia di combattenti che lo ‘Stato ebraico’ considerava una minaccia alla sicurezza. È così che, nel 1978, decise di invadere il Libano meridionale con quella che venne ribattezzata Operazione Litani, conosciuta anche come conflitto del Libano del Sud.

Il nome scelto dalle Forze di Difesa Israeliane non è casuale: l’obiettivo dichiarato era quello di creare una zona cuscinetto all’interno del territorio libanese usato dai combattenti dell’Olp come base dalla quale sferrare attacchi in Israele. Parlare di zona cuscinetto era però riduttivo, dato che questa fascia di protezione doveva estendersi per oltre 60 chilometri oltre il confine, appunto fino al fiume Litani, inglobando tutta la regione meridionale.

L’operazione durò alcune settimane, fino a quando le Nazioni Unite inviarono le proprie forze d’interposizione per ristabilire la sicurezza nell’area. Cosa che riuscì parzialmente, dato che sul territorio rimase l’Esercito del Libano del Sud, alleato di Israele, che continuò a svolgere in parte il lavoro per Tel Aviv, anche con attacchi nei confronti dei Caschi Blu. Il completo ritiro israeliano arriverà solo nel 2000, come certificato da una risoluzione dell’Onu, non prima di un’altra invasione, quella del 1982, conosciuta anche come Prima Guerra del Libano e che aveva l’obiettivo di rispondere agli attacchi lanciati dall’Olp e far nascere nel Paese un governo amico guidato da Bashir Gemayel. Il conflitto durerà tre anni, con Israele che arriverà ad assediare la capitale Beirut e si macchierà di responsabilità nei massacri di Sabra e Shatila commessi dalle Falangi Libanesi ai danni dei rifugiati palestinesi, prima di ritirarsi, fino al 2000, in una sorta di zona cuscinetto.

La pace relativa durerà per circa sei anni, fino al 2006, quando Israele invade di nuovo il Paese. A scatenare la reazione dello ‘Stato ebraico’, questa volta, è il rapimento di due suoi soldati a opera di Hezbollah, il partito sciita nato come milizia anti-israeliana proprio nella guerra del 1982. Il conflitto, durissimo, durerà un mese circa, quando si arrivò al cessate il fuoco e alla decisione dell’Onu di rinnovare il mandato delle forze di interposizione sulla Linea Blu istituita nel 2000.

La storia dopo il 7 ottobre
Il massacro compiuto da Hamas ha riacceso non solo il fronte di guerra a Sud di Israele, nella Striscia di Gaza, ma anche quello a Nord. Mentre Tel Aviv lanciava la sua operazione nell’enclave palestinese con l’obiettivo dichiarato di “sradicare Hamas“, a sostegno del partito armato della Striscia sono stati lanciati, già l’8 ottobre, i primi razzi dal Libano. Hezbollah annunciava così la sua partecipazione a una guerra contro Israele che, nelle parole del suo leader Hassan Nasrallah e dei vertici iraniani, dovrebbe attirare il sostegno di tutti i Paesi musulmani. In quasi un anno di guerra, la tensione al Nord ha conosciuto picchi e flessioni, ma in queste settimane, con Gaza ridotta in macerie e la possibilità di Israele di impegnare più forze sul confine settentrionale, ha raggiunto livelli ancora mai visti dal 7 ottobre.

I motivi sono sia strategici, legati come detto allo svolgimento della guerra sul fronte di Gaza e della Cisgiordania, sia politici. Con la Striscia ormai distrutta, Benjamin Netanyahu ha la necessità di alimentare lo stato di guerra nel Paese per giustificare la sua permanenza al governo, in attesa delle elezioni americane del prossimo novembre. I frequenti attacchi compiuti da Hezbollah con i propri razzi sono quindi un pretesto perfetto per un’operazione che, oggi, ha assunto la forma non più di un’azione mirata contro il Partito di Dio, ma allargata a tutto il territorio libanese.

Il timore dell’invasione di terra
In queste ore Tel Aviv ha comunicato ai cittadini del Sud del Libano di evacuare la zona che sarà oggetto di bombardamenti. Raid indiscriminati, quindi, un modus operandi già visto prima dell’invasione di terra a Gaza. Una scelta del genere, per adesso solo un’opzione respinta dall’Onu e dagli alleati di Tel Aviv, compresi gli Stati Uniti, rappresenterebbe un precedente molto pericoloso. Innanzitutto si tratterebbe di un atto di guerra nei confronti di un Paese sovrano come il Libano. Inoltre, l’invasione non potrebbe avvenire senza forzare il blocco delle forze di pace Onu, in uno scontro con le Nazioni Unite che anche i più stretti amici di Israele non potrebbero non condannare.

X: @GianniRosini

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