Per 56 anni è stato detenuto nel braccio della morte per un quadruplo omicidio ed ora ad 88 anni è stato dichiarato innocente. La vicenda dell’ex pugile giapponese Iwao Hakamada è diventata la notizia del giorno nei quotidiani di mezzo mondo. Hakamada è infatti stato assolto dal tribunale di Shizuoka con il presidente della corte giudicante che ha affermato come tra gli anni sessanta e ottanta tra i vari gradi di giudizio si fosse verificata una fabbricazione multipla di prove contro di lui. Hakamada nel 1966 era stato accusato di aver ucciso il suo capo, la moglie e due figli adolescenti e due anni dopo venne condannato alla pena capitale.
Tortuose sono le vicissitudini attorno alle prime fasi del processo contro di lui. Perché Hakamada inizialmente confessò gli omicidi, poi ritrattò affermando per anni che la confessione era stata estorta dopo brutali interrogatori. È del 1980, presso la Corte Suprema di Tokyo la conferma della sua condanna a morte. Solo nel 2014 si è invece scoperto che il Dna trovato su vestiti insanguinati delle vittime non era il suo. A quel punto Hakamada è stato rilasciato dopo oltre 40 anni di carcere in attesa dell’esecuzione. Successivamente, nel 2018 l’Alta Corte di Tokyo ha di nuovo opposto dubbi e rilevato contraddizioni attorno all’affidabilità dei test del Dna e ha annullato la sentenza del 2014. Hakamada è però uscito di prigione e da casa sua ha registrato le ultime tappe della sua eterna vicenda giudiziaria: nel 2020 la Corte Suprema ha annullato la decisione che impediva un nuovo processo contro Hakamada; poi nel maggio 2024 la pubblica accusa ha chiesto un nuovo processo chiedendo ancora la pena di morte, ma il verdetto definitivo è andato nella direzione opposta. Il caso Hakamada è diventato nei decenni il simbolo della lotta abolizionista della pena di morte in Giappone. Secondo la famiglia dell’ex condannato, l’uomo soffre di notevoli conseguenze psicologiche dopo aver trascorso quasi cinquant’anni nel braccio della morte.