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Libano, proposta di Usa e Francia: tregua di 21 giorni. Netanyahu fa muro. Ma la Casa Bianca: “La dichiarazione era coordinata con Israele”

Non ci sono spiragli, almeno al momento, per una tregua in Libano. La proposta americana e francese di uno stop di 21 giorni delle ostilità, sostenuta dall’Ue e altri Paesi, è stata respinta da Benyamin Netanyahu, che secondo Washington prima avrebbe accettato il cessate il fuoco ma poi ha ordinato di insistere con gli attacchi contro le postazioni di Hezbollah. Il risultato: l’ennesima ondata di raid ed un nuovo blitz mirato a Beirut, per eliminare il comandante sciita responsabile degli attacchi con i droni.

L’iniziativa diplomatica sul Libano ha avuto un’accelerazione dopo che i vertici dell’esercito israeliano hanno annunciato i preparativi per un’incursione via terra. Un’escalation che secondo Joe Biden rischia di portare ad un conflitto su larga scala in Medio Oriente. Il presidente americano ha incontrato il collega francese Emmanuel Macron a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu per concordare una strategia. In una dichiarazione congiunta i due leader hanno chiesto “un accordo sul confine tra Israele e Libano che garantisca sicurezza e protezione per consentire ai civili di tornare alle loro case”. Il piano – sottoscritto anche da Regno Unito, Ue, Italia, Germania, Australia, Canada, Giappone, Arabia Saudita, Emirati e Qatar – prevede un cessate il fuoco di tre settimane per dare spazio a negoziati più ampi, anche su Gaza.

Le speranze di una pausa nelle ostilità si sono però infrante sul muro di Netanyahu. Il premier israeliano, arrivato a New York per intervenire all’Onu, non ha neanche risposto all’appello di Usa e Francia, come ha fatto sapere il suo ufficio. Anzi, appena messo piede a terra dopo il viaggio ha affermato perentorio che “continueremo a colpire Hezbollah con tutta la forza finché non riporteremo i residenti del nord nelle loro case”. Una decisione accolta con malcelata irritazione dalla Casa Bianca, che in serata ha puntualizzato attraverso la portavoce Karine Jean-Pierre che la dichiarazione comune per il cessate il fuoco era stata “coordinata” proprio con Israele. Un funzionario di Tel Aviv ha però ribattuto che sì, “Israele era stato informato della proposta americana ma non l’ha mai accettata”.

Il voltafaccia dell’ultimo minuto, con concessioni offerte e poi ritirate, è una tattica che Netanyahu ha già adottato nel corso del conflitto a Gaza. E così come ha promesso di fare nella Striscia, il leader israeliano ha annunciato di voler andare fino in fondo anche in Libano, per smantellare definitivamente Hezbollah. Il premier, inoltre, è sembrato scommettere ancora una volta sul fatto che gli Usa, al momento delle scelte di campo, si sono sempre schierati con lo Stato ebraico. Come dimostra l’ennesimo e ingente pacchetto da 8,7 miliardi di dollari in aiuti militari.

Il leader israeliano, per andare fino in fondo contro Hezbollah, considera necessaria un’ulteriore prova di forza. In questa direzione, l’Idf ha fatto sapere di aver condotto un’esercitazione con un brigata di carri armati “a pochi chilometri dal confine libanese, in un terreno montuoso” per “migliorare la prontezza operativa e logistica per vari scenari di combattimento in territorio nemico sul fronte settentrionale”: ancora una volta, prove generali di invasione. Nel frattempo, per il quarto giorno consecutivo l’aviazione ha bombardato con intensità il Libano, affermando di aver centrato 75 obiettivi militari di Hezbollah nel sud e nella valle della Bekaa, fino al confine con la Siria. Nella capitale libanese invece è stato preso di mira Mohammed Surur, a capo delle unità aeree della fazione. Un altro pezzo grosso dell’élite militare del Partito di Dio, che era stato inviato in Yemen per addestrare gli Houthi nei raid con i droni. Secondo fonti dell’Idf, Surur è stato ucciso. Dal Libano verso Israele invece sono stati lanciati in un solo giorno circa 150 razzi, arrivati fino ad Haifa e alla città di Safad.