Dopo ventuno anni di professionismo, Emiliano “Tizzo” Marsili, uno dei migliori pugili italiani di quest’ultima generazione, ha deciso di concludere la carriera. Lo farà venerdì 27 settembre nella Marina di Civitavecchia (ingresso gratuito e diretta su RaiSport). Quello con il colombiano Eber Tobar sarà il suo match numero 45. A 48 anni, dopo 42 vittorie, un pari ed una sola sconfitta ha pensato che sia sufficiente così. “Negli allenamenti sto faticando più del solito, gli anni passano, ma a Civitavecchia, casa mia, voglio chiudere in bellezza. Lasciare il ring mi dispiace, ma tutto ha un inizio e una fine. Comincio a sentire le fatiche e poi un pugile deve salvaguardare anche la salute. Ora aprirò una palestra, mia moglie farà l’organizzatrice ed io il maestro. Questo è il mio mondo, non lo abbandonerò mai”.

Farà concorrenza al suo storico maestro Mario Massai?
“Impossibile che succeda dopo 32 anni insieme. Dal 1992, quando sono entrato in palestra la prima volta, avrò fatto sì e no qualche match senza di lui, sennò sempre insieme. Il primo insegnante fu Peppe Peris, scomparso due anni dopo, ne prese l’eredità in palestra proprio Mario, che era stato un suo allievo”.

In questi anni ha continuato a lavorare come camallo nella compagnia portuale di cui è socio.
“In questi anni i colleghi sono stati fondamentali. Per europei e mondiali negli ultimi anni mi prendevo anche uno o due mesi di stop al lavoro, ma agli inizi preparavo i titoli italiani andando alla sera a lavorare dopo aver fatto due allenamenti. I compagni portuali mi hanno sempre aiutato, fai piano mi dicevano”.

Solidarietà operaia.
“Sì, probabilmente è l’unica realtà in Italia rimasta in questo senso”.

Turno da camallo o allenamento con Massai, cosa è stato più duro?
“Quando ti capitava di pulire una stiva di carbone, uscivi fuori non ti dico come”.

Ora le toccherà lavorare ancora di più?
“Mi toccherà lavorare come ho sempre fatto, quando non stavo in preparazione dei titoli. Io sono un operaio, a me non cambia nulla, sono uno del popolo, tornare alla mia quotidianità non mi crea problemi”.

Cosa la rende più orgoglioso della sua lunga carriera?
“È come fossi un pugile imbattuto. A 47 anni per un mio capriccio ho voluto fare a Londra il sesto titolo europeo della mia carriera, dopo che mi avevano rinviato tre volte il match, costringendomi a nove mesi di preparazione, cosa che mi ha atleticamente ucciso e sul ring sono crollato. Con tre mesi di preparazione, magari combattendo in Italia, quel ragazzo, Gavin Gwynne, sarebbe finito fuori dal ring”.

E adesso?
“Voglio lavorare con i nostri ragazzi di Civitavecchia, ce ne sono di bravi, andranno aiutati anche a farsi conoscere nel modo giusto. In Italia è dura organizzare le riunioni, pochi ti aiutano, spesso è un massacro finanziario. La tv quasi la dobbiamo pagare perché venga. Voglio creare una squadra di dilettanti e professionisti. Non bisogna rimanere dilettanti a vita. Una olimpiade, massimo due, e poi si passa Pro a portare il tuo nome in giro, soprattutto se hai vinto una medaglia. Il pugilato è il professionismo”.

Federico Zampaglione dei Tiromancino ci sarà venerdì e nella tua prossima avventura?
“Mio fratello non può mancare. Sarà presente al match d’addio, entreremo come al solito sul ring insieme con la sua canzone Molo 4, scritta per me. Non mi ha mai abbandonato. Un vero amico, grande appassionato di pugilato, si vede tutti i match a livello internazionale e quando parliamo mi mette in difficoltà da quanto ne sa. Capisce molto anche di tecnica. Ha ancora la TM Promotion, l’agenzia di comunicazione e promozione. Quando parto con il nuovo progetto, lui sicuramente sarà con me”.

I pugili più duri affrontati?
“Derry Mathews a Liverpool per il Mondiale IBO e Luca Giacon a Civitavecchia per l’Europeo. Sono stati anche i match più belli che ho fatto”.

In che Paese ti sarebbe piaciuto combattere?
“Negli Stati Uniti, dove nel 2016 avrei dovuto fare il Mondiale WBC, quello vero, con il montenegrino Dejan Zlatičanin”.

Cosa è successo?
“Io non stavo bene fisicamente, inoltre non si sapeva se questo mondiale si doveva fare o non si doveva fare, se era ad interim o era vero, poi i soldi erano stati tagliati, prima erano centomila euro puliti poi centomila dollari lordi, allora il dollaro stava sotto. Io mi sono buttato giù mentalmente, alla fine mi è venuta un po’ di febbre e ho detto non ci vado”.

Si è pentito?
“Sì, perché poi da lì mi hanno declassato da tutte le classifiche e ho iniziato tutto daccapo. Quella occasione non mi è più ricapitata. Il montenegrino non era imbattibile, aveva un bel cazzotto ma tecnicamente non era niente di che. Sì, era forte ma col mio ritmo e la mio boxe il match sarebbe stato aperto”.

Altre situazioni simili in carriera ne ha vissute?
“Dovevo fare il mondiale IBF con Denis Shafikov a Macao. Era tutto pronto, ma quello dietro di me in classifica, mi passa davanti per favori che si fanno tra manager. Alla fine vince sempre chi ha più soldi”.

Lei all’estero combatteva senza problemi?
“Certo, ma con una borsa adeguata. Non potevo fare sempre l’ultima ruota del carro. Ero imbattuto e titolato”.

In carriera ha guadagnato più soldi come pugile o come camallo?
“Mi sa da camallo”.

La boxe è cambiata tanto in questi venti e passa anni?
“Sì. Ora serve sempre più ritmo e tecnica. Il picchiatore senza intelligenza pugilistica fa sempre più fatica. Se tu sei bravo con le gambe, i colpi del fighter li ammortizzi, non li senti al cento per cento e così lo mandi al manicomio”.

Chi ringrazierà venerdì sul ring?
“Ovviamente la famiglia e la compagnia portuale. Poi il mio maestro e tutto lo staff, la Federazione, il Coni. E’ stato un orgoglio infinito, ripartirei dall’inizio. Ma da domani voglio scoprire altri campioni. Non sarò di certo geloso di tirare fuori qualcuno più bravo di me”.

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