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Partnership tra Gedi e OpenAI: i contenuti giornalistici a disposizione degli utenti del chatbot. In allerta la Fnsi e il Garante Privacy

Prima l’annuncio di Gedi che durante l’Italian Tech Week – pietra del contendere che ha fatto scattare lo sciopero dei giornalisti di Repubblica – ha fatto sapere di aver avviato una partnership strategica con OpenAI per “rendere accessibili agli utenti” del chatbot i contenuti in lingua italiana delle testate del gruppo. Poche ore dopo le reazioni allarmate della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e del Garante Privacy. Il sindacato dei giornalisti guarda con “attenzione ma anche forte preoccupazione” all’intesa e l’authority per la protezione dei dati personali fa sapere di “seguire con attenzione gli accordi” riservandosi di valutare “l’adozione di più specifiche iniziative”.

Secondo il sindacato, “l’AI deve essere gestita per evitare che possa addestrarsi con i contenuti dei giornalisti e prepararsi quindi a sostituirli. Di conseguenza, l’accordo di Gedi deve necessariamente avere sia un approfondimento tecnico – ad esempio capire se ChatGpt oltre a citare gli articoli ha avuto dall’azienda il via libera per assorbirli e quindi addestrarsi, ma anche se i contenuti saranno “marcati” in modo da poter essere contabilizzati – sia dal punto di vista contrattuale, perché l’utilizzo dei prodotti giornalistici coperti da copyright possa avere una ricaduta economica positiva anche sulla redazione”. Su questi temi e su altri, “sarà necessario un confronto rapido e trasparente, che metta le organizzazioni sindacali in grado di avere tutte le risposte, da quelle economiche a quelle tecniche” afferma la federazione.

Nessuno dei dubbi sollevati dal sindacato dei giornalisti è stato affrontato da John Elkann, presidente di Gedi, nel suo colloquio con il ceo di OpenAi Sam Altman nell’ambito dell’Italian Tech Week. Un appuntamento che arriva peraltro in un momento complicato per gli eredi Agnelli, indagati per frode fiscale e truffa in danno dello Stato. L’azionista di Exor si è limitato a dire che la partnership “fa parte del percorso di trasformazione digitale di GEDI e riconosce il suo ruolo di leadership nella produzione di contenuti di alta qualità all’interno del panorama editoriale italiano” e “permette a GEDI di raggiungere un pubblico internazionale più ampio, grazie alle avanzate capacità di traduzione sviluppate da ChatGPT”.

Nel frattempo è emerso che OpenAI sta cambiando pelle. La start-up a cui fa capo ChatGPT intende ristrutturarsi e diventare una società a scopo di lucro, nella quale l’amministratore delegato Altman potrebbe avere una quota del 7%, divenendo ufficialmente un multimiliardario. La profonda riorganizzazione si accompagna alla serie di uscite di alto livello che stanno colpendo la società. Ultima in ordine temporale quella di Mira Murati, la chief technology officer. La riorganizzazione segna una nuova svolta nella saga di OpenAI, determinata a rendersi più attraente per gli investitori proprio mentre è impegnata in un nuovo round di raccolta fondi da 6,5 miliardi. Fondata nel 2015 come non-profit con l’obiettivo di costruire un’intelligenza artificiale sicura e a beneficio dell’umanità, nel 2019 ha compiuto la sua prima trasformazione, adottando una struttura a ‘profitto limitato‘ così da poter raccoglie fondi, inclusi i miliardi ricevuti da Microsoft. E ora punta a riorganizzarsi in una for-profit impegnata a migliorare la società e operare in modo sostenibile.

Una divisione non-profit continuerà a esistere ma si occuperà solo ed esclusivamente di beneficenza. Nella società a scopo di lucro la divisione non-profit e Altman avranno una quota. Secondo indiscrezioni, l’amministratore delegato è in trattative per ottenere un 7% che potrebbe far schizzare la sua ricchezza a 10 miliardi se la società sarà valutata 150 miliardi nel round di raccolta fondi in corso. Un round che, a differenza dei precedenti, non imporrà un tetto ai profitti che gli investitori possono ottenere e se – riporta il Wall Street Journal – la riorganizzazione non sarà eseguita nell’arco di due anni, gli investitori potranno chiedere i loro fondi indietro.