di Enza Plotino
A inizio autunno, come da vent’anni a questa parte, arriva puntuale la notizia sul deposito nazionale per mettere in sicurezza le scorie radioattive che produciamo in Italia. Sempre un passetto in avanti (o indietro) sulla questione spinosa di quale regione debba essere coinvolta in questo progetto e sempre con una fuga in avanti rispetto al percorso messo in campo da Sogin, a dimostrazione del consueto pasticciaccio all’italiana.
Quest’anno la novità è: “Facciamone tre, al Nord, al Centro e al Sud” dice il ministro dell’Ambiente, lo stesso che ha, poco tempo fa, aperto al ritorno del nucleare nel nostro Paese. E inoltre “abbiamo introdotto la possibilità per le aree ritenute non idonee dalla Cnai di presentare un’autocandidatura”. Allora a cosa è servita la lunga procedura di selezione dei siti idonei avviata da Sogin, sulla base di criteri di esclusione fissati dalle Autorità di controllo nazionali e internazionali e passata attraverso la stesura della Cnapi prima, e della Cnai (Carta nazionale delle Aree Idonee) dopo?
Al termine di tutta questa fase complessa e controversa, in cui si era cercato di procedere con un seppur minimo e tortuoso processo di coinvolgimento dei cittadini e degli enti locali e che ha indicato 51 aree idonee ad ospitare il deposito nazionale, spunta fuori dal “cilindro” del ministro l’opzione di triplicare il sito unico e di introdurre l’opportunità di autocandidarsi per gli Enti locali di tutto il territorio italiano interessati ad ospitare il Deposito Nazionale.
Ma perché creare questa nuova possibilità per i Comuni che erano stati esclusi dalla Carta Nazionale poiché non soddisfacevano i requisiti stringenti richiesti in fase di valutazione, facendoli ritornare in pista con una scorciatoia parallela al percorso ufficiale?
È noto, ad esempio, che il sindaco del Comune di Trino vercellese, in Piemonte, fin dall’inizio non abbia mai nascosto il suo interesse ad avere sul proprio territorio il Deposito Nazionale, nonostante siano ben sei i criteri che avevano determinato la sua esclusione. Per quale motivo ora potrebbe, invece, proporsi ufficialmente per essere scelto? Un pasticcio colpevole, dal quale si vuole tentare di uscire, sulla testa dei cittadini, alimentando ulteriori ritardi e rischi per tutti.
Il Deposito nazionale è diventato urgente a causa dell’accumulo in Italia di ingenti quantità di materiale radioattivo prodotto sia da scarti medici che industriali (a bassa e media intensità), oltre ai materiali frutto dello smantellamento e la bonifica dei siti nucleari (quelli più pericolosi sono, a pagamento, nel Regno Unito e in Francia). Questi rifiuti attualmente vengono stoccati e dislocati su tutto il territorio nazionale in decine di siti assolutamente inidonei, con gravi e ingiustificati rischi per tutti: risulta quindi urgente prendere decisioni che possano avviare alla risoluzione del problema.
Visto che anche sui 51 siti risultati idonei mancano le conclusioni della Valutazione di impatto ambientale e, cosa ancora più importante, i Comuni si sono dichiarati indisponibili ad ospitarli, è palese la grave situazione di stallo in cui il ministro dell’Ambiente brancola nel buio e noi cittadini aspettiamo invano decisioni che non arriveranno mai.