Le commissioni Bilancio e Finanze del Senato hanno approvato giovedì sera l’emendamento del governo al decreto omnibus che introduce il discusso Bonus Natale da 100 euro che andrà solo ai lavoratori dipendenti con redditi bassi ma non troppo, sposati e con un figlio fiscalmente a carico. Il viceministro Maurizio Leo, chiamato a riferire in commissione due giorni fa, ha spiegato che spetterà anche ai nuclei monogenitoriali con figli a carico, sempre ovviamente che abbiano sufficiente capienza fiscale: chi è troppo povero (sotto gli 8.500 euro annui di reddito) non lo riceverà perché l’indennità in arrivo con la tredicesima spetta solo a chi versa l’Irpef, che in quel caso è totalmente assorbita dalle detrazioni.
Alla fine a ricevere il bonus sarà circa un lavoratore ogni 20, in tutto un milione di persone. Per di più non per tutti la somma sarà piena. I 100 euro vanno solo a chi ha lavorato senza interruzioni per tutto l’anno. A chi ha avuto occupazioni intermittenti con periodi di disoccupazione spetterà una cifra proporzionata al numero di giorni lavorati. Lo stanziamento previsto per la misura è pertanto relativamente modesto: 100 milioni, euro più, euro meno. Un intervento che sembra insomma spendibile più che altro come argomento di propaganda pre natalizia (purché non si scenda troppo nel dettaglio sui criteri per individuare i pochi percettori). Si creeranno anche situazioni paradossali per cui una famiglia con un figlio e un dipendente avrà il bonus mentre una partita Iva o una coppia di fatto con tre figli non vedrà un centesimo.
“Per il governo ci sono figli di serie B” – Non sorprende che una misura basata su criteri tanto arbitrari scateni la polemica. Antonio Misiani, responsabile Economia nella segreteria nazionale Pd, attacca: “Andrà a una piccola minoranza dei lavoratori dipendenti (poco più del cinque per cento del totale), escludendo tra gli altri gli incapienti e le famiglie di fatto. I figli delle famiglie regolarmente sposate permetteranno di chiedere e ottenere il bonus. Gli altri, no. È una grave ingiustizia e una pessima figura per il governo e, in particolare, per il viceministro Leo, che di fronte alle proteste aveva annunciato in Parlamento una circolare chiarificatrice, salvo poi fare marcia indietro”.
“Se davvero, come sembra, i figli nati da unioni civili saranno esclusi dal bonus Natale, avremmo l’ennesima discriminazione di Stato. Il Governo dovrebbe sentire addosso tutto l’imbarazzo e la vergogna di aver sancito l’esistenza di figli di serie B, proprio in relazione a un sostegno che la destra ha avuto il coraggio di chiamare Bonus Natale. Per le famiglie che non rientrano nella loro ‘normalità’ non ci sarà nulla. Se andranno avanti su questa strada coglieranno un doppio obiettivo: avranno risparmiato sulle coppie di fatto e ribadito una loro farisaica idea di famiglia”, dichiara Debora Serracchiani, sempre del Pd.
“Per fortuna il governo Meloni era contro i bonus e i soldi buttati dalla finestra. O almeno è quello che Giorgia Meloni racconta. Peccato che sono contro i bonus degli altri governi, perché il governo e la maggioranza continuano a sfornarne di nuovi. L’ultimo, in ordine di tempo, è il bonus Natale, che è anche una marchetta a fini elettorali bella e buona, e non per tutti. Perché la coperta essendo corta, e i soldi pochi, questo mini-aiuto andrà solo a pochi lavoratori dipendenti, mentre ne discriminerà molti, i più fragili, i non dipendenti e le famiglie di fatto”, afferma il senatore dell’Alleanza Verdi e Sinistra Tino Magni.
Nella manovra ci saranno dei bonus “che poi finiscono in nulla” e “che sono soldi degli italiani dati agli italiani con maggiore debito”. Invece non si farà nulla per sanità e scuola, mentre bisognerebbe “usare i soldi per mettere a posto questi due pilastri che stanno andando a carte 48”. Cosa che “non riesce a fare nessun governo, perché fanno gli stessi identici provvedimenti, ma poi non risolvono il problema dell’istruzione di tuo figlio o della tac per i tuoi genitori che hanno bisogno di assistenza”, dice il leader di Azione Carlo Calenda.
Anche la Cgil chiede un ripensamento: “L’impianto è discriminatorio“, dice la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi. “Ribadiamo in primis la netta e più volte sottolineata contrarietà alla politica dei bonus” e in più “la conferma dell’esclusione delle famiglie di fatto e/o senza figli è un modo per ribadire l’estromissione di qualunque modello familiare non corrispondente a quello che ha in mente il Governo come unico possibile e una sorta di tassa sul celibato all’incontrario che evidentemente suscita notevole fascinazione sugli esponenti dell’attuale Esecutivo, stante la provenienza ideologica di questo genere di misure dal loro Pantheon di riferimento”.