di Federica Pistono*

Gioielli blu, della scrittrice austriaca Katharina Winkler (Cancellada, 2024), è un romanzo che non avrebbe dovuto attirare la mia attenzione, perché non proveniente dall’area arabofona, di cui solitamente mi occupo. Eppure, dopo averlo letto, ho provato l’impulso di recensirlo, per almeno due motivi: perché prende le mosse in un paese, la Turchia, affacciato sul Mediterraneo orientale, e perché tratta di tematiche quali la condizione femminile, la violenza domestica, la migrazione verso l’Europa, comuni a tante opere di letteratura araba contemporanea.

La vicenda inizia in un villaggio della Turchia rurale, negli anni Ottanta del Novecento. Filiz è una bambina che nasce e cresce in una famiglia povera e numerosa, con un padre-padrone burbero, a volte manesco, e una madre sottomessa e sfiancata dalle gravidanze e dal lavoro. La sua infanzia si dipana tra la casa, l’orto e la cura del bestiame dei genitori, sognando la libertà e un amore che possa cambiare la dura realtà. È un mondo in cui le donne sono adorne di gioielli blu, che non sono pietre preziose, ma lividi che le percosse di padri e mariti lasciano sulla pelle, simbolo del predominio maschile e di un destino dolorosamente immutabile.

Attraverso la storia di questo personaggio, l’autrice racconta la violenza atavica che le donne subiscono per mano degli uomini, una crudeltà che sembra essere percepita come normale, come se si trattasse di un aspetto collaterale dell’amore e della vita di coppia. La narrazione, condotta in prima persona, sottolinea come la protagonista accetti con rassegnazione la propria sorte, comune a tante altre donne.

All’età di tredici anni, Filiz s’innamora di Yunus, un bel ragazzo di pochi anni più grande di lei, e lo sposa contro la volontà paterna. Con il matrimonio, comincia per la sposa-bambina la discesa negli inferi: rinchiusa in casa della suocera, costretta all’isolamento e a un lavoro da schiava, sperimenta, con la violenza del marito, abusi e soprusi di ogni genere. Il rapporto che lega i due coniugi si trasforma, fin dalla prima notte di nozze, in una relazione perversa, in cui l’amore è contaminato dalla brutalità che si risolve nello stupro e l’affetto si confonde con il desiderio di possesso e annientamento della personalità dell’altro. Tutti i legami familiari, anche quelli con i genitori, sono inquinati da una ferocia per molti versi disumana.

Dopo la nascita di tre figli, la giovane coppia si trasferisce con i piccoli prima a Istanbul, poi in Austria. L’arrivo della famiglia in Europa potrebbe coincidere con la realizzazione di un sogno, risolversi in un cambiamento radicale di abitudini ma, dopo un esordio promettente, la situazione non migliora, anzi degenera in un clima di violenza familiare insopportabile.

Ornata di gioielli blu, la protagonista è avvolta in un turbine di bestialità destinato a dissolversi soltanto alla fine degli anni Novanta.

Questa la trama, che potrebbe essere una storia di abusi e sopraffazione come tante altre, alle quali siamo ormai purtroppo abituati. Quello che colpisce il lettore, in questo romanzo, è lo stile narrativo dell’autrice, semplice e avvolgente, spesso pervaso di lirismo. I capitoli si susseguono, brevi o brevissimi, esponendo gli avvenimenti in modo piano e diretto, quasi privo di descrizioni, asciutto e talvolta piatto, senza indulgere a giudizi o commenti. Il compito di elaborare i fatti, di esprimere considerazioni sulle esperienze dei personaggi, è lasciato al lettore, che si ritrova immerso in un racconto vivido e incisivo, intensamente drammatico, in grado di scuotere anche una coscienza ormai sopita, assuefatta alla barbarie ordinaria della prepotenza domestica.

Sullo sfondo si delineano alcune problematiche politiche e sociali, come l’emigrazione turca nel mondo germanico e la presenza del Pkk, ma l’autrice preferisce sfiorare tali questioni senza approfondirle e concentrarsi sull’io lacerato e sanguinante della protagonista, che il lettore segue nel suo destino di solitudine.

Il libro è destinato a colpire intensamente l’anima del lettore e a sopravvivere a lungo nella sua memoria, per la potenza delle immagini e la veridicità della storia, che induce a riflettere sulla necessità ineludibile di opporsi all’accettazione e alla “normalizzazione” della prevaricazione non solo sulle donne, ma su tutti i soggetti più deboli della società.

* Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

La Francia vista dagli ‘altri’. Dalla guerra d’Algeria a un esperimento di satira del 1976

next