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Il premier inglese Starmer si tura il naso e incontra Trump, “gemello” populista dell’avversario Farage

Il primo ministro negli Usa ha messo da parte le differenze ideologiche con il candidato repubblicano; se The Donald diventerà il prossimo presidente americano, Londra dovrà averci a che fare

A margine della visita ufficiale a New York, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il primo ministro britannico Keir Starmer ha incontrato Donald Trump per una cena durata due ore. L’obiettivo dichiarato è “stabilire una relazione” fra due leader ideologicamente molto lontani che però, se Trump dovesse vincere le elezioni del 5 novembre, dovranno collaborare strettamente sui principali dossier di politica estera, a partire dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Come chiarito dal primo ministro: “Credo fermamente nelle relazioni personali a livello internazionale. Penso sia davvero rilevante conoscere chi è il tuo omologo in ogni Paese, conoscerlo personalmente, incontrarlo faccia a faccia.” Ed ha aggiunto: “La nostra ambasciata ha buoni rapporti con entrambi i campi [repubblicano e democratico] e li ha da molto tempo. Quindi non è l’inizio di qualcosa, è la continuazione di quei buoni rapporti che sono sempre esistiti con entrambi i campi”

L’incontro, riferiscono fonti giornalistiche, è stato cordiale, con Trump che ha commentato sui social: “[Starmer] è molto piacevole. Ha fatto una grande campagna elettorale, ha avuto un ottimo risultato, ed è molto, molto popolare”. Mentre sulla piacevolezza di Starmer non abbiamo elementi per esprimerci, e il suo successo elettorale è testimoniato dai dati, il terzo assunto è piuttosto inaccurato: a tre mesi dal voto, la popolarità di Starmer sprofonda anche fra i suoi elettori. Secondo YouGov, è apprezzato solo dal 22% del campione, mentre il 60% lo valuta negativamente.

Quanto al suo rapporto con Trump, il passato non è stato privo di incidenti. Il più pesante è lo scontro online con l’attuale Ministro degli Esteri David Lammy, anche lui presente a cena, che nel 2018, definí Trump “un puttaniere e un sociopatico con simpatie neonaziste”. Si è evidentemente pentito, anche se prima del viaggio oltreoceano ha giustificato quelle parole ricordando come “molti abbiano criticato Trump a quei tempi”. Da allora Lammy si è preparato diligentemente a diventare il cautissimo responsabile della politica estera britannica costruendo relazioni con tutti i principali rappresentanti delle forze politiche e delle lobby di Washington, ed ha smussato ogni angolo maturando una concezione politica che definisce ‘realismo progressista” e che ha esplicitato lo scorso aprile su Foreign Affairs.

La principale ragione della diffidenza del Labour verso Trump è la vicinanza dell’ex presidente con figure della destra britannica, dall’ex primo ministro Boris Johnson al demagogo populista di estrema destra Nigel Farage, entrambi più popolari di Starmer di 10 punti per l’elettorato inglese. Farage, che anche ieri Donald non ha mancato di elogiare, è una spina nel fianco di Starmer: con i suoi 5 seggi assegnati a Reform, la formazione elettorale che ha lo statuto di un partito personale, non lo impensierisce in parlamento, ma il sistema britannico non è proporzionale, e i 4 e più milioni di elettori, anche giovanissimi, affascinati dal populismo di Farage possono diventare una spina nel fianco se, come sembra, il Labour continuerà nel calo di consensi.

Il Labour, malgrado il pugno di ferro di Starmer, è ancora un partito articolato, con correnti più di sinistra che rivendicano pubblicamente il diritto di criticare, e distanziarsene, le politiche di discriminazione dei migranti e l’attacco ai diritti delle donne da parte dei conservatori americani. Ma, ce lo ricorda David Lammy, ‘realismo progressista’ significa prendere atto dei rapporti di forza in campo, e il Regno Unito, specie dopo Brexit, può solo sognare di avere il ruolo che aveva quando era ancora un impero. Oggi, volente o no, è sempre più schiacciato da grandi potenze vecchie e nuove.