Crime

Mostro di Firenze, riesumata la salma di Francesco Vinci: secondo la moglie potrebbe essere ancora vivo

La moglie di Francesco Vinci, Vitalia Velis, “ha il forte sospetto che il marito sia ancora vivo. Racconta di averlo visto qualche giorno dopo la scoperta della scomparsa"

Ci sarà una svolta nell’oscura saga irrisolta del Mostro di Firenze? A dirlo sarà il risultato di una nuova analisi, quella sul cadavere di uno dei primi e principali sospettati (poi scagionato) per la serie di duplici delitti. Questa mattina sono stati riesumati i resti di Francesco Vinci nel cimitero di Montelupo Fiorentino. Era uno dei membri della pista sarda sul Mostro di Firenze, il serial killer che dal 1968 al 1985 ha fatto strage di giovani coppie che si appartavano in cerca di intimità, nelle campagne fiorentine.

L’operazione è stata ordinata dalla Procura di Firenze ma a chiedere la riesumazione della salma pare sia stata la vedova di Vinci Vitalia Velis insieme ai figli, per sapere, grazie all’esame del Dna, se è veramente del loro congiunto il corpo dell’uomo trovato ucciso e carbonizzato nel bagagliaio di un’auto nell’agosto 1993, nella campagna di Pisa. Era l’8 agosto 1993 quando in un’auto carbonizzata nelle campagne di Chianni, nel Pisano, furono ritrovati due cadaveri uno dei quali identificato come Francesco Vinci, l’altro come Angelo Vargiu. I funerali si tennero poi nel maggio successivo quando fu depositata la relazione del medico legale per avere la certezza che la salma fosse quella di Vinci.

La moglie di Francesco Vinci, Vitalia Velis, “ha il forte sospetto che il marito sia ancora vivo. Racconta di averlo visto qualche giorno dopo la scoperta della scomparsa: la salutava con un cenno della mano da un’auto. Andò dai carabinieri, ma la cosa non ebbe seguito”. È quanto riferisce il criminologo Davide Cannella che assiste la famiglia di Vinci. Questi, originario di Villacidro (Cagliari), fu arrestato nell’agosto ’82 per il duplice delitto di Signa, il primo della tragica sequela. Quella notte del 22 agosto 1968 vennero trucidati nella loro auto, la casalinga 32enne Barbara Locci e il suo amante, il siciliano Antonio Lo Bianco. Si erano appartati in località Castelletti di Signa insieme al figlio di lei che per fortuna è sopravvissuto all’agguato.

Vinci venne accusato di aver commesso questo crimine da Stefano Mele, marito della Locci. Il sardo era anche lui l’amante della moglie e questo fece credere a Mele di averla assassinata perché in preda a un raptus omicida scatenato dalla sua gelosia. Fu successivamente scagionato perché, mentre era in carcere, l’assassino seriale commise altri crimini.