“Tutti devono essere decapitati”: rivelazioni sulle atrocità nella roccaforte africana del gigante energetico francese è la nuova inchiesta realizzata e pubblicata da Politico che per la prima volta rivela i responsabili del massacro di Afungi, compiuto nel 2021 dai soldati mozambicani. Secondo le testimonianze acquisite e la ricostruzione effettuata nella lunga inchiesta del sito, pare che i responsabili abbiano operato all’interno dell’impianto del colosso francese Total Energies, situato nel nord del Mozambico.

Perché le forze che avrebbero dovuto proteggere la popolazione non lo hanno fatto? Durante l’estate del 2021, un’unità di commando – guidata da un ufficiale che ha detto che la sua missione era quella di proteggere “il progetto Total” – è accusata di aver stipato in dei container, torturato e infine ucciso dei civili sospettati di aver preso parte a un’insurrezione nella remota penisola di Afungi.

Secondo quanto riportato da Politico, dei civili nella provincia di Cabo Delgado che si sono trovati sotto il fuoco incrociato tra l’esercito regolare e un gruppo di militanti affiliati allo Stato Islamico, erano fuggiti in cerca di protezione. I soldati regolari, però, li hanno accusati di essere ribelli e hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini. I prigionieri sono poi stati stipati in dei container posizionati all’ingresso di un impianto di gas naturale di proprietà del colosso petrolifero. L’inchiesta – basata su interviste a sopravvissuti e testimoni e su un’indagine condotta porta a porta nei villaggi delle vittime – ha rivelato che più di 160 persone accusate di aver preso parte all’insurrezione sono state torturate o soggette a trattamenti inumani. Solo 26 persone sono sopravvissute.

L’indagine di Politico sul massacro ha confermato l’identità di 97 persone uccise o scomparse, di cui 22 donne e 75 uomini di età compresa tra i 18 e i 58 anni. “I soldati ne avevano picchiati a morte 10, ne avevano soffocati 12 nei container e ne avevano fatti sparire 26. I restanti 40 erano dispersi, presumibilmente morti dopo essere stati visti per l’ultima volta in custodia dell’esercito – si legge nell’inchiesta – Gli ispettori hanno anche trovato una donna stuprata da sei soldati che in qualche modo era sopravvissuta”. Le persone ancora in vita e che hanno parlato con Politico dicono che “gli appaltatori bianchi che lavorano nel sito hanno visitato i container diverse volte, cercando anche, senza successo, di passare loro cibo e acqua dalla mensa”.

Le domande alla base dell’inchiesta sono due: Total era consapevole di aver stretto accordi di protezione con un corpo di polizia corrotto e violento? Ed era a conoscenza delle atrocità avvenute nei container marchiati con il logo della compagnia? A detta dell’amministratore delegato della Mozambique LNG – filiale della compagnia nel Paese che in quel momento non controllava il terreno – l’azienda non era al corrente dei “presunti eventi descritti”. Dall’altro lato però, “se i pubblici ministeri in Francia o altrove dovessero intentare un procedimento contro Total Energies – si legge -, la questione della responsabilità dell’azienda si concentrerebbe in ultima analisi proprio sulla sua consapevolezza”.

Per poter chiarire quanto accaduto in Mozambico, occorre fare un passo indietro. Politico infatti, ha riferito che nel 2019 la Total ha acquisito l’attività dalla società texana Anadarko che era stata posta a capo di un consorzio di compagnie petrolifere e che nei 10 anni precedenti alla cessione – dopo aver ottenuto il diritto di riqualificare una fascia di terra nella parte nord del Paese dove sono state scoperte vaste riserve di gas al largo della costa – aveva costruito un impianto di liquefazione, un porto, un aeroporto e alloggi per 15mila lavoratori. L’acquisto da parte della multinazionale francese si colloca in una precisa strategia elaborata dall’amministratore delegato dell’azienda Patrick Pouyanné secondo cui un colosso come Total può assumersi rischi politici elevati “perché in grado di assorbirli”. Con un costo stimato di 50 miliardi di dollari, il progetto di un giacimento di gas naturale in Mozambico – insieme allo sviluppo di un secondo giacimento della Exxon Mobil – era annunciato come uno dei più grandi investimenti privati realizzati nel continente.

Una volta ottenuto il controllo della terra ceduta da Anadarko, la prima cosa che la multinazionale ha fatto è stata circondare la zona dei giacimenti con una recinzione sorvegliata 24 ore al giorno da una “task Force. Per proteggere il territorio è stata prevista una presenza a rotazione di circa 700 soldati, commando e polizia paramilitare mozambicana – si legge nell’inchiesta -, pagati, equipaggiati e ospitati da Total“. In poco tempo, Totalandia – questo il soprannome dato dai locali – è diventata una fortezza considerata inespugnabile.

Perché è stato necessario proteggere il territorio? Perché poco prima dell’acquisizione, nel 2017 per la precisione, un ex militare della marina mozambicano Bonomade Machude Omar – radicale islamista – aveva fondato un gruppo terroristico, oggi noto come al-Shabaab, affiliandosi allo Stato Islamico. L’organizzazione ha operato e continua ad operare in particolare nella parte nord del Paese e per questo, sin dai primi anni di gestione, la Total ha dovuto fronteggiare attacchi costanti al traffico “in entrata e uscita dall’impianto” orditi dai miliziani intenzionati a giovare della fortuna dei colossi che da anni – secondo il loro punto di vista – sfruttavano le risorse naturali del territorio escludendo le comunità locali.

Nel marzo del 2021, gli estremisti – dopo aver conquistato l’anno precedente Mocimboa de Praia, una delle città più a nord del Paese – hanno attaccato la città di Palma “che è servita come base operativa per molti operai edili di Total Energies. I servizi di sicurezza mozambicani e quasi tutti i 60mila residenti della città sono fuggiti. All’impianto di gas, anche il personale della Total è stato evacuato” scrive Politico.

In assenza di un bilancio completo delle vittime uccise durante l’occupazione di al-Shabaab, Alex Perry – il giornalista che ha effettuato l’inchiesta – ha consultato le linee guida delle Nazioni Unite su come stabilirne uno. “Alla fine del 2022 – si legge – aveva creato un team di indagine composto da sei ricercatori e tre manager. In cinque mesi, il team ha visitato 13.686 case a Palma e 15 villaggi vicini, sulla penisola e a nord di Palma. Hanno trovato un totale di 1.193 morti o dispersi, di cui 330 decapitati, e 209 rapiti e mai più visti” a cui sono stati aggiunti 105 contractor uccisi segnalati dall’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED). L’ufficio stampa di Total ha inoltrato a Politico la risposta all’accusa “di non aver prestato soccorso e di essere a conoscenza del fatto che molti lavoratori dell’impianto si trovavano a Palma” di Maxime Rabilloud. L’ex consigliere generale della divisione di esplorazione e produzione di Total Energies che ha assunto l’incarico in Mozambico il 6 settembre del 2021 ha riferito che “durante il periodo tra aprile e novembre 2021, pur non avendo alcuna presenza fisica nella penisola di Afungi, Mozambique LNG ha mantenuto una stretta comunicazione con le comunità locali e ha effettuato oltre 1.200 telefonate con i leader della comunità, i facilitatori della comunità e le persone interessate dal progetto. Nessuna di queste chiamate però ha menzionato i presunti eventi”.

La Total ha dichiarato non solo di aver evacuato il personale dopo l’attacco a Palma, ma anche di averlo fatto rientrare non prima di novembre, lasciando la zona “sotto il controllo delle forze di pubblica sicurezza mozambicane”. L’accusa mossa nei confronti delle forze militari regolari e del colosso acquisisce grande valore, soprattutto se si considera che l’esercito del Mozambico di frequente è salito agli oneri delle cronache per essersi macchiato di gravi crimini contro l’umanità documentati non soltanto da organizzazioni internazionali come Amnesty International, ma anche da organi governativi stranieri.

“I documenti interni di Total Energies dell’epoca, ottenuti in base a una richiesta di libertà di informazione da parte di ReCommon, una ong ambientalista italiana, mostrano però che l’azienda fosse a conoscenza delle accuse secondo cui i soldati dentro e intorno all’impianto di gas commettevano regolarmente abusi“. Inoltre, prosegue Perry, “anche l’uso da parte dell’esercito di container come prigioni era ben noto”. Durante un viaggio con l’esercito ruandese nella provincia nel settembre 2021, il giornalista ha personalmente assistito all’apertura di un container sulle banchine di Mocimboa da Praia. “Il container è stato aperto e dentro si trovava una dozzina di civili sporchi e terrorizzati. I soldati mozambicani presenti davano l’impressione di condurre gli affari come al solito”.

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