Dai dati Istat si ricava che a spostarsi fuori dalla zona di residenza per l’interruzione di gravidanza è stato in media circa il 20% di chi ha abortito nel 2022. La media, però, dice poco delle realtà territoriali. La situazione peggiore è mediamente al Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria), dove la percentuale di chi riesce ad interrompere la gravidanza nella zona di residenza è stata al 72%, il 19% si è spostata spostata all’interno della Regione (2.925 donne) e l’8% in altra Regione. Quella migliore nel Nord-est, dove l’88,6% era residente, il 7,1% si è spostata all’interno della Regione e il 4,3% fuori. L’ISTAT rileva se l’intervento abortivo è stato stato fatto in un comune diverso da quello di residenza, mentre sfuggono alle statistiche gli eventuali spostamenti fatti nelle fasi che precedono l’intervento, cioè la certificazione e l’eventuale ricerca in più di una struttura.

All’interno delle macro aree si evidenziano poi ulteriori differenze. Nelle Marche la percentuale di chi riusciva ad abortire nella provincia di residenza era al 70,6%, si sono spostate entro la stessa Regione nel 16,9% dei casi e fuori Regione nel 12,5%. L’utenza che non trova accoglienza in Regione si riversa nelle zone limitrofe, come denunciato a ilfattoquotidiano.it da una coppia di Fermo. Il grafico seguente mostra un confronto tra Marche ed Emilia Romagna, Regione in cui le linee di indirizzo ministeriali del 2020 hanno trovato applicazione.

Non sempre, però, si hanno i mezzi per spostarsi, soprattutto dove una rete di trasporto pubblico manca o è insufficiente, come in molte aree interne del nostro Paese. E poiché l’aborto è spesso ancora una pratica stigmatizzata su cui gravano veti morali di lunga tradizione, può accadere che non si sappia davvero a chi chiedere aiuto. Si prova, allora, a far da sé.

Abortion Support Network in Inghilterra ha ricevuto dall’Italia 40 richieste di aiuto negli ultimi 3 anni, di cui 4 erano al di sotto delle 12 settimane di gestazione, 6 tra le 12 e le 17, le restanti oltre le 17 settimane. Il network supporta le donne e persone incinte nei viaggi per ricerca di cure per aborto all’estero e offre assistenza in telemedicina per aborto farmacologico autogestito. Sono circa 200 le persone in Italia a cui Women Help Women ha spedito pillole e offerto assistenza nel 2023. Oltre 700 le richieste di aiuto ricevute da Women on Web nello stesso anno. L’European Abortion Policies Atlas, che offre un’analisi approfondita delle politiche di aborto in tutta Europa, mette l’Italia tra i 19 Paesi europei che costringono le donne a sopportare requisiti medicalmente non necessari prima di accedere alle cure per l’aborto; tra i 26 che consentono agli operatori sanitari di negare l’assistenza sulla base delle loro convinzioni personali o convenienza; tra i 18 che non riescono a fornire alle persone informazioni chiare e accurate sull’assistenza all’aborto.

I quadri legislativi di molti Paesi europei perpetuano ostacoli descritti come “inutili” dal Center for reproductive rights, che ha appena rilasciato una mappa aggiornata delle politiche sull’aborto in tutto il mondo. Per questo è in corso la campagna di raccolta firme europea My voice my choice, che ha l’obiettivo di istituire un meccanismo di finanziamento specifico dedicato a garantire a tutte le donne e le persone dell’Ue l’accesso ai servizi di aborto e all’assistenza sanitaria riproduttiva. Il fondo sosterrebbe le persone nei Paesi in cui l’aborto non è disponibile, come in Polonia e a Malta, in cui non è gratuito, come in Austria e Germania, o in cui è legale ma non facilmente accessibile, come Croazia e Italia. Si firma online o ai tavoli di raccolta firme in oltre 200 località, organizzate in occasione della Giornata per l’aborto sicuro.

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