Mondo

Come, dalla caduta del muro di Berlino in poi, ci siamo ritrovati a un passo dal baratro

di Michele Versace

C’era una volta il muro di Berlino. Da una parte c’erano i buoni e dall’altra i cattivi, e per evitare che gli occidentali potessero essere ammaliati dai cattivi (i comunisti), i buoni pensarono di concedere più diritti al popolino: un welfare più efficiente e capillare, salari sufficienti per una vita decorosa, condizioni di lavoro meno gravose e tutela della salute dei lavoratori. La scuola pubblica era gratuita, e l’università costava così poco che perfino i figli degli operai potevano laurearsi. Così, poco per volta, il ceto medio cominciò a diffondersi e tutto il paese ne beneficò.

Di pari passo al benessere arrivarono anche progressi nella cultura, nell’arte e si cominciò a prendersi cura anche della natura (in Italia nel 1973 si avviò il “progetto lupo” volto a proteggere il nostro predatore, ormai ad un passo dall’estinzione). E fu così che alcuni anni dopo arrivò la perestroika, con essa il disgelo, e il muro di Berlino, che non aveva più ragione di esistere, venne abbattuto nel 1989.

Ad essere onesti quell’evento mi diede un po’ di inquietudine, forse avevo subodorato il futuro prossimo… e in effetti, venuto meno lo spauracchio sovietico si avviò ciò che il mondo capitalista sognava già da tempo: la globalizzazione, ossia la caduta di tutte le barriere commerciali, la possibilità di mettere in concorrenza il contadino di Pachino con quello di Hammamet, l’abbigliamento italiano con quello cinese, gli elettrodomestici tedeschi con quelli coreani. E i risultati non tardarono a palesarsi.

Arrivarono i contratti precari, il lavoro interinale, la privatizzazione della sanità e la svendita degli enti pubblici (SIP, ENEL, etc.), e in questo contesto si cominciò a falcidiare il welfare. Dopo tutto dovevamo fare concorrenza ai “paesi emergenti”; la globalizzazione non aveva (come ci avevano raccontato) elevato il tenore di vita del terzo mondo, ma aveva terzomondializzato l’Europa. Il costo delle produzioni (che non dipende dal costo manodopera, ma dal costo della sicurezza e della tutela di lavoratori e ambiente) spinse a delocalizzare e ora ci troviamo in una situazione, oserei dire precaria. Perfino la tutela ambientale sta scemando per spremere profitto dalle “rape”.

Le guerre di questi ultimi decenni sono la conseguenza delle spartizioni delle zone di influenza tra le potenze esistenti e quelle emergenti, ed oggi, per l’avidità di pochi criminali, ci troviamo ad un passo dal baratro.

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