Per far sembrare ancora più credibile la sua bugia, la cugina ha creato altri 50 profili falsi: "Ogni cosa che diceva e faceva, anche se ridicola o folle, era sostenuta da altre persone"
Dieci anni d’amore cancellati in un istante. È iniziata come un’amicizia online, poi una relazione vera e propria, sempre attraverso il web. Ma quell’uomo che aveva tanto amato, in realtà, non esiste: era solo frutto dell’ingegnoso stratagemma orchestrato da sua cugina. È questa la storia di Kirat Assi, 43enne della comunità sikh di Londra, che per un decennio è stata convinta di avere una relazione online con un medico australiano, Bobby Jandu, salvo poi scoprire che si trattasse di un profilo falso che la cugina aveva creato utilizzando immagini di una persona reale.
Dalla sua storia, ora, sono nati un documentario Netflix, che vedrà la luce il prossimo novembre, e un podcast in sei puntate, creato dal giornalista investigativo Alexi Mostrous. “Sweet Bobby” è il titolo di una vicenda che si ritiene sia uno dei casi più longevi e complessi di inganno online.
Tutto inizia nel 2009, quando Kirat riceve un messaggio su Facebook dall’ex fidanzato di sua cugina Simran che le chiedeva consigli su come riconquistarla. La donna, all’epoca 28enne, aiuta il giovane innamorato, ma cinque mesi dopo Simran dà a Kirat la triste notizie della morte del suo ex. E le consegna l’indirizzo email del fratello, ‘Bobby’, per inviargli le condoglianze.
Comincia così un’amicizia sempre più intensa tra Kirat e questo fantomatico Bobby, conosciuto sul web, almeno fino a quando, nel novembre 2013, riceve un messaggio in cui apprende che Bobby ha perso la memoria dopo essere finito in coma. Poi, pochi mesi dopo, scopre che l’uomo è deceduto. Una vicenda che doveva finire lì, probabilmente, ma che prosegue, perché a quel punto Kirat riceve un’altra mail: Bobby, in realtà, è vivo, ma ha inscenato la sua morte e si sta nascondendo grazie a un programma di protezione testimoni.
Il giorno di San Valentino del 2015, infine, lui si dichiara e i due iniziano una relazione, che si protrarrà per diversi anni, in cui si scambiano diversi messaggi al giorno, anche di natura sessuale. Con il tempo, però, sorgono i primi dubbi: Kirat chiede più volte a Bobby di incontrarsi dal vivo, ma l’appuntamento viene sempre rinviato per diversi motivi, alcuni dei quali anche surreali, come un infarto o un tentativo di suicidio.
Infastidita dal comportamento considerato inusuale, Kirat ingaggia un investigatore privato e scopre tutta la verità: a gestire il profilo è, in realtà, la stessa cugina da cui aveva ricevuto il contatto dieci anni prima. “Quello che mi è successo è una storia folle, al di là di ogni fantasia. Stiamo parlando di dieci anni della mia vita“, ha raccontato Kirat a Netflix. Una vicenda surreale specialmente per quanto riguarda le proporzioni della menzogna, perché Simran non si è limitata a creare solo il profilo di Bobby, ma ha ricostruito una vita che risultasse reale, arrivando a gestire 50 profili falsi di amici e conoscenti. Tutto per rendere ancora più credibile la sua bugia: “Ogni cosa che diceva e faceva, anche se ridicola o folle, era sostenuta da altre persone. Quando mi fu comunicata la morte di Bobby sono stata invitata a unirmi a un gruppo Facebook di suoi amici. C’erano 39 persone e solo molto tempo dopo ho scoperto che nessuna di loro era reale“, svela Kirat.
Sentendosi tradita e umiliata, la donna decide di andare dalla polizia, che, però, le spiega che non era stato commesso nessun reato. Costretta con le spalle al muro, la 43enne intenta una causa civile contro la cugina, che è stata poi risolta in via stragiudiziale.
“Mi ha portato via dieci anni della mia vita, anni che non riavrò indietro. In quel periodo avrei potuto incontrare qualcuno di vero, avere un bambino. Ho perso i miei amici, il mio lavoro, i miei risparmi. Mi sono aperta con lui o con lei, raccontandogli cose sulle mie speranze, i miei sogni, la mia infanzia, che non avrei mai detto a nessuno. Mi sento violata“, ha concluso Kirat.