Per due giorni dipendenti con contratto a tempo indeterminato part time, per il resto della settimana collaboratori a partita Iva della stessa azienda, con la possibilità di godere della flat tax al 15%. La bizzarra creatura professionale a due teste, già presente in alcuni gruppi bancari, promette di diffondersi dopo la liberalizzazione inserita nel ddl Lavoro durante il passaggio parlamentare. Un emendamento di Andrea Giaccone, Virginio Caparvi e Dario Giagoni (Lega) approvato in commissione elimina infatti i paletti che escludevano dal regime forfettario chi – da libero professionista – collabora “prevalentemente” con un committente con cui ha o ha avuto altri rapporti di lavoro. Quella causa ostativa era stata prevista dalla legge di Bilancio per il 2019, al momento dell’innalzamento a 65mila euro del tetto di ricavi per l’accesso al regime di favore, per evitare di incentivare la trasformazione di rapporti di lavoro dipendente in attività autonome con meno tutele solo per godere di benefici fiscali.

La nuova norma partorita dal Carroccio – che come è noto punta ad allargare il più possibile i confini dell’iniqua tassa piatta – vale per gli iscritti ad albi professionali che collaborino con “datori di lavoro che occupano più di duecentocinquanta dipendenti, dai quali sono contestualmente assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo parziale e indeterminato, con orario che rientri tra un minimo del 40 per cento e un massimo del 50 per cento del tempo pieno previsto dal contratto collettivo di lavoro applicato”. Il contratto di lavoro autonomo deve essere certificato da enti bilaterali, direzioni provinciali del lavoro, università o consigli provinciali dei consulenti del lavoro. Un’ulteriore deroga è prevista poi per le partite Iva che lavorano in forma autonoma sulla base di un accordo aziendale di prossimità (un contratto che integra il ccnl in una specifica zona o per una singola azienda).

Al momento il cosiddetto “contratto misto” è applicato soprattutto in Intesa Sanpaolo, che l’ha introdotto nel 2017 come modalità di ingresso propedeutica alla trasformazione – dopo due anni – in un rapporto dipendente a tempo pieno. Nel 2022 l’accordo che disciplinava quel passaggio è stato disdettato. La prima banca italiana conta più di un migliaio di figure con contratto misto, che “rappresenta una delle principali modalità di inserimento dei nuovi consulenti nella rete di filiali del Gruppo”, fa sapere, e “dato anche il riscontro molto positivo da parte delle persone direttamente interessate, potrebbe rimanere tale”. Ribattezzati “Global advisor“, i lavoratori misti hanno un contratto part-time verticale da dipendenti e uno di agenzia compensato con provvigioni. Gestiscono due separati portafogli clienti: il primo da curare in filiale, il secondo fuori sede, direttamente dal cliente. Secondo l’istituto è una delle tante “forme di flessibilità per migliorare l’equilibrio tra vita privata e professionale” dei dipendenti. Il responsabile della divisione Banca dei Territori, sul sito, spiega che “è un’opportunità per le persone e per l’azienda: favorisce l’occupazione e permette alla nostra banca di mantenersi competitiva in uno scenario economico e sociale in continua mutazione”.

Dopo la modifica normativa, spiegano i sindacati, la formula acquisterà appeal anche per i professionisti senior che già lavorano nel gruppo: attirati dall’opzione della flat tax al 15% sulle provvigioni, gestori ma pure direttori di filiale prenderanno in considerazione il salto. Che per la banca comporterebbe ovviamente, in prospettiva, una riduzione dei costi per il personale. Per le casse dello Stato l’effetto sarà speculare. Il dossier di analisi del Servizio Bilancio della Camera sul Ddl Lavoro evidenzia come le novità sul contratto misto siano “suscettibili di determinare un ampliamento dei soggetti che possono optare per il regime forfetario agevolato” e chiede quindi di “acquisire elementi di valutazione al fine di confermare l’invarianza del gettito”, perché le deroghe potrebbero determinare effetti finanziari negativi per la finanza pubblica.

Per la deputata dem Maria Cecilia Guerra, responsabile lavoro nella segreteria nazionale del Pd, la norma voluta dalla Lega “favorisce un processo, già in atto, di trasformazione fittizia di lavoro dipendente in lavoro autonomo monocomittente, quasi sempre per niente autonomo, che costa meno e permette di scaricare i rischi di impresa sulle spalle dei lavoratori. E lo fa sfruttando un trattamento fiscale ingiustificatamente molto diverso fra due tipi di lavoro: dipendente ed autonomo”.

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