Il latin lover pigro che si addormentava in scena. Sfoglia, sfoglia, e nel denso libro di Giulia Muggeo – Marcello Mastroianni (Carocci editore) – ritrovi le tracce antispettacolari e antidivistiche dell’attore frusinate che disegnò il falso mito del seduttore mediterraneo attraverso i film di Fellini, Germi, Petri, Scola, Ferreri ed eccelsa compagnia filmante.
Sul posizionamento di Mastroianni, del quale ricorre oggi 28 settembre 2024 il centenario della nascita, nella top ten (o five) di chi ha segnato maggiormente lo splendido dopoguerra su grande schermo che va dai cinquanta ai settanta, c’è estrema discordanza. La truppa è ricca (Sordi, Gassman, Manfredi, Volontè, Tognazzi, tra gli altri) e i parerei divergono. Ma sull’immagine del tombeur de femmes che il Marcello richiamato nella fontana di Trevi da Anita Ekberg sembra suo malgrado essere stato, nonostante lo smarcamento smaccato (l’impotente in Il Bell’Antonio o l’omosessuale in Una giornata particolare, per dire), non paiono esserci dubbi. Parliamo delle versioni ufficiali, dei rotocalchi d’epoca, dei cinegiornali sussurrati e di costume. Mastroianni le infilava tutte, le donne, in un personale pallottoliere. E invece no, la realtà, sembra spiegarci la Muggeo, è un’altra.
Attraverso numerosi spezzoni di interviste meno conosciute, e di un’analisi filmica e caratteriale più raffinata, la storica del cinema restituisce all’attore laziale “un suo peso specifico, la sua complessità, la sua indecifrabilità”. “Il latin lover … ma che pazienza! Sono trentacinque anni da quando ho fatto La Dolce Vita che gli americani hanno deciso che io ero il latin lover. Loro vanno sempre alla ricerca di formulette”, spiegò Mastroianni infastidito e oramai anziano. Altroché Rossano Brazzi o Rodolfo Valentino. E nemmeno Paul Newman, che il produttore De Laurentiis voleva al suo posto in La Dolce vita.
Il “Marcellino” felliniano (“mi serve una faccia qualsiasi – chiese Fellini – ed io non mi sentii affatto umiliato”) fu uomo defilato e attore per “sottrazione”. Artista, corpo e immagine, che volle stravolgere i modelli della mascolinità cuciti addosso a forza, mentre tutt’attorno il sistema delle icone stellari spingeva verso la direzione contraria. “Mastroianni è seducente, ma troppo pigro. Fra una scena e l’altra è capace di addormentarsi di colpo, ovunque si trovi”, raccontò Virna Lisi riecheggiando la celebre scena del pisolino durante lo striptease loreniano in Pret a porter di Altman. Anche Faye Dunaway, una delle conquiste extra nazionali del nostro (o fu soprattutto lei a conquistare lui?), ricorda che i due erano “stati molto vicini per due anni (…) lunghi, logoranti, soprattutto se una situazione è complicata. Nel caso di Mastroianni ce n’erano parecchie: è cattolico, italiano, sposato, padre (…) e poi non è un dongiovanni: è un uomo casalingo, in fondo non se la sentirebbe mai di lasciare sua moglie”.
Insomma un Guido Anselmi di 8 e ½ all’ennesima potenza, la celebrità che entra nella discoteca Piper e afferma “un luogo allucinate, troppo sudore”. Spiace ridurre a poche righe la disamina di Muggeo, ma è l’antidivo, il “bravo ragazzo del cinema italiano”, a prendere il sopravvento nel rapido scorrere di cinquant’anni di carriera, tra il prolungato sodalizio con Sophia Loren e quello con Catherine Deneuve, tra i meno celebri inserti teatrali, “l’aria ministeriale che respira in tv”, e le tante parti in produzioni internazionali tra gli anni ottanta e novanta (Blier, Ruiz, Varda, Angelopoulos, Michalkov). Mastroianni “non è un attore che entra nel personaggio, ma che piuttosto lo accoglie”, spiega l’autrice. È nella caratterizzazione addirittura comica del barone Cefalù di Divorzio all’italiana, dove ingrassa volutamente ma invisibilmente un po’ di chili, o al contrario per Otto e ½ dove dimagrisce altrettanto invisibilmente e si carica del sovraccarico trucco felliniano che si scorge l’artista che non si auto esalta, il narciso che si specchia poco o nulla: “Sono pigro, non tanto intelligente (…) faccio quello che vogliono i registi, da solo non prendo nessuna iniziativa. Non provo mai a casa davanti allo specchio (…) mi sento un magnifico dilettante (…) sono logicamente fluido, malleabile, impersonale”.