Scuola

Nessuno conosce più ‘gli essenziali’: così passiamo dal Green Deal alla transizione militare

Nel precedente contributo a questo blog trattavo delle basi su cui è fondato l’insegnamento nel nostro paese. Salvo rare eccezioni, si proponevano regole generali, astratte, non basate su esperienze quotidiane: il metodo deduttivo. Ho argomentato che sia il metodo induttivo (prima l’esperienza e poi l’astrazione) ad essere più consono alla nostra natura, riferendomi all’apprendimento della lingua madre: prima si parla, poi si imparano le regole.

Molti commentatori mi hanno contestato, spiegandomi l’utilità delle regole, come se avessi scritto che è inutile conoscerle. Vista la dominanza delle astrazioni, l’osservazione della natura è assente dai percorsi scolastici e, per compensare la mancanza, si è molto sviluppata la divulgazione naturalistica: pare che il tema sia gradito al pubblico.

Come non sono d’accordo con la logica dell’apprendimento scolastico, così lo sono con la documentaristica sulla natura. La scuola ha basi deduttive (regole senza la pratica), la documentaristica è esclusivamente induttiva: tanti fatterelli che non portano ad alcuna regola generale. Il fine è di sollecitare meraviglia e sorpresa nello spettatore: la reazione OHHH. All’inizio questo approccio si basava su una strategia: prima attiriamo gli spettatori con la meraviglia, e poi generiamo la consapevolezza: la reazione AHHH. Alla consapevolezza non siamo mai arrivati. I due estremi (scuola deduttiva, divulgazione induttiva) non ammettono compromessi.

Il risultato è che nessuno sa “gli essenziali”: gli animali più importanti nel far funzionare gli ecosistemi planetari sono i copepodi, mentre i produttori primari (piante e affini) più importanti del pianeta sono le diatomee e i flagellati del fitoplancton. Non si insegnano a scuola e non si vedono nei documentari. Pochissimi, ancora, sanno cosa sia un ecosistema e come funzioni, per non parlare del percorso dell’acqua che beviamo e che porta alla plin plin: per rispondere bisogna conoscere gli apparati digerente, circolatorio, respiratorio ed escretore, collegandoli al metabolismo cellulare. Si impara senza capire e le nozioni non diventano conoscenza.

Conoscere come funzionano il nostro corpo (la plin plin) e gli ecosistemi, e di cosa sia composta la biodiversità che li fa funzionare, non fa parte delle finalità dei percorsi di apprendimento e di divulgazione. Lo studio spesso è associato al sacrificio, con il modello Alfieri che si incatena alla sedia per obbligarsi a studiare, mentre la divulgazione è associata al puro divertimento. Iniziamo a comprendere che queste cose sono importanti, visto che abbiamo messo la biodiversità e gli ecosistemi nell’Art. 9 della Costituzione, ma stentiamo a capire perché.

Una comunità di persone che non ha consapevolezza della propria ignoranza in questioni vitali può essere facilmente convinta che siano importanti, per poi essere facilmente convinta che non lo siano. Così stiamo passando dalla transizione ecologica e il green deal alla transizione militare, dedicando i fondi per la sostenibilità alla costruzione di armi e centrali nucleari. Accettiamo che si spendano enormi risorse pubbliche per costruire telescopi che ci dicano se un asteroide ci sterminerà, ma non facciamo nulla per far fronte a rischi ben più concreti, minimizzandoli.

Solo un popolo privo di consapevolezza può accettare certe proposte. Una delle più grandi imprese del Pnrr è la diga foranea del porto di Genova. Permetterà alle grandi portacointainer di scaricare nei nostri porti le merci prodotte in Cina, India e altri paesi lontani. Abbiamo delocalizzato laggiù le nostre industrie manifatturiere, per risparmiare sui costi di produzione. Prima dipendevamo da quei paesi per l’importazione delle materie prime, però eravamo manifatturieri. Ora dipendiamo da quei paesi anche per le manifatture. Dopo aver lavorato per noi come schiavi, ora si mettono a produrre cose che noi non sappiamo produrre, tipo le auto elettriche. E noi, furbi, diciamo che vogliamo continuare con le vecchie tecnologie perché non siamo in grado di svilupparne di nuove. Al diavolo il green deal e la sostenibilità: inquiniamo felici.

Il bello è che chi ci fa queste proposte è anche responsabile delle delocalizzazioni in “quei paesi”. Quando la Cina inquina diciamo che dobbiamo inquinare anche noi, altrimenti non siamo competitivi. Se sviluppa tecnologie che non inquinano, diciamo che non possiamo fare altrettanto perché non abbiamo tecnologie competitive rispetto alle sue.

Solo un popolo bue può accettare queste contraddizioni. Non credo che esista un complotto per mantenerci in questo stato conoscitivo, ma credo che questo sia il risultato di sistemi di formazione e divulgazione inadatti alle sfide che dobbiamo affrontare. Gli altri paesi avanzano velocemente, noi siamo fieri di arretrare!

Nota: una volta, a lezione, parlando del bue, mi venne un dubbio. Che differenza c’è tra il bue e il toro? Buio. Poi una mi dice: il bue è il maschio della mucca, il toro della vacca. Ah, e che differenza c’è tra mucca e vacca? Beh, una è la femmina del bue e l’altra del toro. Quando spiegai che il bue è un toro castrato mi fu chiaro che non avevano capito, visto che circolava il nome di Lorena Bobbit. Così disegnai uno schema alla lavagna per spiegare la differenza tra castrazione ed evirazione. Credo che per molti la castrazione chimica consista nell’immergere i testicoli dei maniaci sessuali in acido muriatico. Salvini si eccita al solo immaginare lo sfrigolio.