Salute

Giornata mondiale del cuore 2024, i rischi maggiori li corrono le donne: “Dopo la menopausa più probabile morire d’infarto che di tumore al seno”

In occasione della Giornata mondiale del cuore, i dottori Giuseppe Di Pasquale e Francesco Burzotta spiegano al FattoQuotidiano.it le malattie cardiovascolari, come prevenirle e quali sono i soggetti più a rischio

Sono ancora il killer numero uno. Le malattie cardiovascolari rappresentano infatti la prima causa di morte in Italia. E se dopo anni di informazione sulla prevenzione il “primato” ancora resiste, forse la spiegazione è in questo dato che fotografa l’attuale situazione: una forte percentuale di italiani deve fare i conti con almeno tre fattori di […]

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Sono ancora il killer numero uno. Le malattie cardiovascolari rappresentano infatti la prima causa di morte in Italia. E se dopo anni di informazione sulla prevenzione il “primato” ancora resiste, forse la spiegazione è in questo dato che fotografa l’attuale situazione: una forte percentuale di italiani deve fare i conti con almeno tre fattori di rischio. Nonostante sia possibile evitare l’80% dei decessi con la prevenzione. Lo ricordano gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità in occasione della Giornata Mondiale del Cuore, il 29 settembre, promossa dalla World Heart Federation in collaborazione con l’Oms.

I numeri in Italia

Le malattie cardiovascolari includono le malattie ischemiche del cuore, le patologie cerebrovascolari e le altre malattie del cuore, e causano in Italia il 30,8% di tutti i decessi nel 2021, ultimo dato di mortalità disponibile, con 217mila decessi. I decessi per le malattie ischemiche del cuore e per le malattie cerebrovascolari sono, rispettivamente, il 27,3% ed il 24,7% del totale dei decessi dovuti alle malattie del sistema circolatorio.

Il 41% presenta tre fattori di rischio

Il sistema di sorveglianza PASSI ha rilevato nel biennio 2022-2023 alcuni dati su 100 italiani adulti intervistati. Di questi, 18 riferiscono una diagnosi di ipertensione, 18 di ipercolesterolemia, 35 sono sedentari, 24 fumatori, 43 risultano in eccesso di peso corporeo (IMC≥25) e meno di 7 persone consumano 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, come raccomandato. Inoltre, quasi il 5% degli intervistati riferisce una diagnosi di diabete. Complessivamente il 41% degli intervistati presenta almeno 3 dei fattori di rischio cardiovascolare e solo una piccolissima quota (2%) risulta del tutto libera dall’esposizione al rischio cardiovascolare noto.

La buona notizia è che agendo sui fattori di rischio cardio-metabolici modificabili, anche attraverso lo stile di vita, l’80% dei decessi legati a queste malattie sarebbe evitabile.

Rischi molto sottovalutati

Purtroppo, ancora pochi nella popolazione adottano stili di vita più salubri. E anche se si è registrato un calo del consumo di sale, la quantità giornaliera è sempre molto elevata: 9,5 g negli uomini e 7,2 g nelle donne, rispetto all’ideale fissato dall’Oms di non più di 5 g al giorno.

“La mancanza di risultati è legata a una ridotta aderenza della popolazione agli stili di vita sani e alle terapie farmacologiche. I cittadini tendono a non avere consapevolezza dei rischi, sottovalutano patologie come ipertensione e ipercolesterolemia perché spesso sono asintomatiche – spiega al FattoQuotidiano.it il dottor Giuseppe Di Pasquale, cardiologo e membro del Comitato Scientifico della Fondazione italiana per il Cuore (FIPC) – Trascurano il fatto che magari hanno un po’ di pressione e colesterolo alti o sono un po’ in sovrappeso e quindi non si sentono sufficientemente motivati a modificare il loro stile di vita o a prendere, in alcuni casi, i farmaci opportuni”. Su quest’ultimo aspetto c’è un dato significativo: da una serie di studi europei che hanno coinvolto due milioni di pazienti è risultato che per i trattamenti con antipertensivi e statine il 40 per cento non aveva seguito le prescrizioni mediche e che il 9% degli eventi cardiovascolari è attribuibile alla ridotta aderenza terapeutica. È un dato molto serio da considerare, anche perché “almeno un fattore di rischio cardiovascolare è presente nel 98% della popolazione!”, sottolinea Di Pasquale.

Il dilemma dei sintomi

Potrebbe essere di maggiore aiuto anche imparare a riconoscere i sintomi di un problema cardiovascolare più imminente?

“Difficile fare una casistica senza incorrere in inutili allarmismi – ci risponde il professor Francesco Burzotta, Responsabile Centro di Coordinamento Cardiologico della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Direttore UOC di Cardiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore – Secondo però l’esperienza clinica, ci sono molti pazienti ricoverati per eventi cardiaci e che riusciamo a salvare che riportano di avere osservato nei giorni immediatamente prima della crisi cardiaca, di un infarto, delle modifiche del loro stato di salute a cui non avevano dato importanza. Un esempio? Se fino a ieri salivo a piedi tutti i giorni tre piani di scale e improvvisamente mi sono accorto che oggi ho un affanno o avverto un senso di fatica mai provato, è arrivato il momento di fare un controllo per capire se c’è dell’altro”.

Ma possiamo fare qualcosa in più anche aumentando la nostra consapevolezza sullo stress.

“È ormai chiaro a livello scientifico che le emozioni molto forti, soprattutto se negative, possono determinare un danno diretto al cuore – sottolinea l’esperto – per cui, quando viviamo queste emozioni e accusiamo sintomi che perdurano nel tempo, dobbiamo consultare il medico o, meglio ancora, recarci al pronto soccorso. Tra questi sintomi, sicuramente c’è quello più tipico, il dolore toracico: se persiste e non si modifica nel tempo, né con il respiro o quando tocchiamo il torace, ci dobbiamo recare al pronto soccorso”.

Come prevenire

Quali sono allora le regole di vita per evitare un rischio per il cuore e il sistema cardiovascolare?

“Oltre ai periodici controlli dei valori di pressione e colesterolo, la scienza ha ormai ampiamente confermato i benefici protettivi di alcune scelte di vita. Come fare 10mila passi, tre o quattro volte a settimana”, spiega Burzotta. E ancora: “Eliminare fumo e ridurre al minimo l’alcol, seguire la vera Dieta mediterranea, composta in prevalenza da cibi vegetali, frutta, cereali non raffinati, pesce, poca carne, evitando l’eccessivo consumo di grassi saturi e di sale. E in ultimo, non per importanza, avere un sonno regolare: dormire con regolarità è legato a una riduzione delle patologie del cuore”.

Motivare la popolazione a fare scelte più salutari

“Occorre una migliore sensibilizzazione delle persone attraverso il contributo del medico di base, la comunicazione tra questi e gli ospedali e incrementare le campagne di comunicazione – sottolinea Di Pasquale – Sarebbe già tanto migliorare del 20% l’aderenza ai trattamenti per ridurre di almeno il 10% il rischio di eventi cardiovascolari”.

Le donne sono le più trascurate

Uno dei punti deboli della strategia di prevenzione sono le donne, a causa di “una tradizione medica che ha spostato l’attenzione dei problemi di cuore sul maschio mentre i rischi maggiori li corrono le donne – continua Di Pasquale – In particolare, dopo la menopausa è maggiore il rischio di morire per infarto piuttosto che di un tumore al seno. Ma questa percezione non è ancora diffusa. Insomma, manca una seria strategia di investimento in campo preventivo. Eppure, basterebbe acquisire un dato di uno studio dell’European House Ambrosetti: per ogni euro investito in prevenzione, si ottiene un rendimento di tre euro attraverso un risparmio sulla spesa per prestazioni terapeutiche, nell’arco di tempo di 10 anni. Un risultato notevole. Ma forse il problema sta proprio nell’ottica temporale a breve termine in cui si muovono i programmi dei governi e delle aziende sanitarie: 10 anni è un lasso di tempo troppo lungo”.

Il “calcolatore” del rischio personale di ictus e infarto

Infine, grazie al Progetto Cuore, condotto dall’Iss, è online un ‘calcolatore’ del rischio, un sistema utile che, sulla base del livello di alcuni fattori di rischio, in poche mosse permette di calcolare la propria probabilità di avere un infarto del miocardio o un ictus nei successivi 10 anni.