Gli spalti vuoti, l’eco che rimbomba in tv, una partita giocata tutta sotto ritmo. Spettacolo desolante, messaggio ancor più avvilente. Genoa-Juventus è stata davvero un bel biglietto da visita per il calcio italiano. E un po’ per tutta l’Italia: un Paese che per arginare, educare, punire 500 violenti – non si è ben capito quale fosse l’obiettivo – ha colpito 50mila tifosi. È il risultato del mercoledì di follia di Genova, dove il derby di Coppa Italia è diventato il pretesto per la solita battaglia fra ultras. Pugno duro immediato: almeno una partita a porte chiuse a testa per Genoa e Samp, e poco importa l’avversario, che si tratti della Juventus o della malcapitata Juve Stabia, più le trasferte vietate nelle prossime settimane. La sanzione è stata accolta come ineluttabile, persino dalle stesse società che non hanno presentato ricorso, nell’approvazione generale dell’opinione pubblica. Ma rappresenta in realtà un’aberrazione giuridica, sconfessando il basilare principio della responsabilità personale (quella oggettiva dei club è tutta da dimostrare). E soprattutto, non ha alcun senso.

Non è la prima volta che le porte vengono chiuse per fatti di violenza, ma Genova è un caso particolare: i disordini stavolta non sono avvenuti all’interno (o comunque solo in minima parte) dell’impianto, ma si sono consumati fuori, per strada, nel quartiere di Marassi, messo praticamente in stato d’assedio prima e dopo durante la partita, mentre i 90 minuti di calcio giocato sono stati l’unica parentesi di semi-normalità in una giornata surreale. Non c’è nemmeno la difficoltà di quantificare la partecipazione al reato, come succede ad esempio per i cori razzisti in curva, e comunque anche in quei casi si tende sempre di più a circoscrivere la sanzione a porzioni di settore. Qui parliamo proprio di fatti extracampo, non si tratta più di calcio ma di violenza, criminalità. Invece la reazione – al netto dei provvedimenti giudiziari che sono seguiti e che seguiranno – è stata sportiva.

Perché squalificare ciò che non è stato neppure il teatro, il luogo fisico degli eventi, e a catena i due club? Lo stadio viene trattato come un simbolo e come tale messo alla gogna, con una sanzione arbitraria (non c’è un automatismo, è stata presa di comune accordo tra Osservatorio per le manifestazioni sportive e Prefettura ma comunque secondo criteri soggettivi) e draconiana: chiudere lo stadio intero, senza nemmeno considerare l’avversario e smentendo le proprie determinazioni (pochi giorni prima l’Osservatorio non aveva rilevato particolari criticità per Genoa-Juve, prevedendo la limitazione per i residenti in Piemonte della vendita nel solo settore ospiti e un generico rafforzamento dei servizi di stewarding e filtraggio) perché una piccola parte della tifoseria si è comportata male, malissimo. Invece di punirne uno per educarne cento, penalizzarne 50mila (a tanto ammontano gli abbonati tra Genoa e Samp) perché 500 hanno sbagliato.

Ingiustizia è fatta, con buona pace dello spettacolo, della regolarità della competizione (Genova col suo pubblico è un campo ostico, Inter e Roma ci hanno già lasciato punti preziosi), e soprattutto dei diritti dei tifosi. Ma il problema non è nemmeno questo, quanto che davvero non si capisce quale sia la ratio che abbia ispirato la decisione. Solo la volontà di colpire Genoa e Samp in quanto responsabili dei loro tifosi la renderebbe giuridicamente plausibile, ma allora semmai si potrebbe dire che anche le istituzioni avrebbero potuto gestire meglio una situazione tutt’altro che imprevedibile, annunciata da settimane. Se invece l’obiettivo era punire gli ultras, il messaggio è pericoloso, perché equivale a dire che Marassi è cosa loro, non delle squadre, non delle migliaia di tifosi perbene che lo frequentano ogni domenica. Se infine – e questa è la motivazione più verosimile – si è chiuso lo stadio semplicemente per dare un segnale e perché era lo strumento più comodo per mettersi al riparo da ulteriori disordini, siamo di fronte ad una scelta incoerente (tanto valeva per assurdo non far giocare proprio Genoa e Samp, gli ultrà potevano benissimo darsi appuntamento fuori dallo stadio o altrove), al solito provvedimento di facciata, che non cambierà le cose. Comunque sia andata rimane una sconfitta. Per tutti, tranne forse che per Loro, gli unici colpevoli.

X: @lVendemiale

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