Calcio

Inchiesta Ultras, la Figc ha chiesto gli atti: cosa rischiano Inter e Milan sul piano sportivo

L’indagine della Dda di Milano che ha portato all’arresto di 19 ultras rischia di avere per Inter e Milan delle ripercussioni anche sul piano della giustizia sportiva. Il procuratore federale della Figc, Giuseppe Chinè, sta infatti chiedendo in queste ore ai pm l’ordinanza di custodia cautelare e gli atti di indagine non coperti da segreto. L’intento é verificare eventuali condotte “rilevanti” per l’ordinamento sportivo, da parte delle due società o di loro tesserati. Inter e Milan al momento non sono indagate, così come non risultano dirigenti del club indagati nel fascicolo d’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta negli affari delle curve. Ma esiste un procedimento parallelo, avviato dalla procura, che chiama in causa direttamente Inter e Milan: i due club dovranno dimostrare, in un contraddittorio, di aver reciso i legami con il mondo ultras, soprattutto sul fronte della gestione dei biglietti per le partite. Il Codice di giustizia sportiva, agli articoli 25 e 27, regolamenta proprio i rapporti tra le società di calcio e il tifo organizzato, sia per quanto riguarda la “prevenzione di fatti violenti“, sia per quel che concerne la “cessione dei titoli di accesso alle manifestazioni calcistiche”. I biglietti, appunto. Ma non va mai dimenticato anche l’articolo 4 del Codice Figc, quello che richiama società, dirigenti, atleti e tecnici al rispetto dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”.

Che cosa è emerso dagli atti dell’inchiesta
Negli atti dell’indagine dei pm antimafia Paolo Storari e Sara Ombra si legge che lo stadio di San Siro “e le attività economiche connesse sono fuori da ogni controllo di legalità”. La posizione più critica appare quella della società nerazzurra. I pubblici ministeri sottolineano “alcune carenze organizzative della Fc Internazionale nella gestione dei rapporti con la tifoseria”. E nell’ordinanza del gip si parla di “contatti agevolatori”. Vengono citati vari episodi, a partire dalla “corresponsione di 1.500 biglietti alla Curva nord, dopo pesanti pressioni, in occasione della finale di Champions League”, contro il Manchester City. Agli atti ci sono appunto le pressioni di uno dei capi della Nord, Marco Ferdico, in particolare sul vicepresidente dell’Inter Javier Zanetti e sull’allenatore nerazzurro Simone Inzaghi. Ma emerge anche la “corresponsione di ulteriori abbonamenti alla curva Nord in occasione della estromissione degli Irriducibili”, un gruppo ultras che era stato estromesso dal secondo anello verde, cuore del tifo nerazzurro. Ancora: i “continui rapporti con We Are Milano dietro cui si nasconde la gestione (occulta) di Andrea Beretta“, il capo ultras in carcere per l’omicidio Bellocco. E “il costante ingresso allo stadio di soggetti privi di tagliando, agevolato dalle pesanti intimidazioni nei confronti degli steward”.

Che cosa prevede il Codice di giustizia sportiva
Il primo riferimento è l’articolo 25 del Codice. Al comma 1 si legge: “Alla società è fatto divieto di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione e al mantenimento di gruppi organizzati e non organizzati di propri sostenitori, salvo quanto previsto dalla legislazione statale vigente”. La sanzione prevista è una semplice ammenda. Le società – comma 2- sono inoltre tenute “all’osservanza delle norme e delle disposizioni emanate dalle pubbliche autorità in materia di distribuzione al pubblico di biglietti di ingresso nonché di ogni altra disposizione in materia di pubblica sicurezza relativa alle gare da esse organizzate”. Anche in questo caso la sanzione prevista è la multa e – solo nei casi più gravi – anche l’obbligo di disputare una o più partite a porte chiuse. Poi c’è il comma 10: “Ai tesserati è fatto divieto di avere rapporti con esponenti di gruppi o gruppi di sostenitori che non facciano parte di associazioni convenzionate con le società”. In questo, il dirigente, allenatore o giocatore coinvolto rischia la squalifica o l’inibizione, oltre a una multa. Questo è il caso che riguarda il precedente di Andrea Agnelli e della Juventus (leggi sotto). L’articolo 27 invece si occupa codice di regolamentazione della cessione dei biglietti. In caso di mancata adozione o applicazione di questo codice, per i club è prevista una semplice ammenda.

In base a questi due articoli, quindi, Inter e Milan per i fatti fin qui emersi dall’inchiesta potrebbero rischiare “solamente” una multa. Discorso diverso invece per i dirigenti e gli altri tesserati intercettati a dialogare con i capi ultras, per cui la Procura Figc potrebbe chiedere una squalifica o l’inibizione. Il Codice di giustizia sportiva, però, all’articolo 4 richiama appunto ai principi di lealtà, correttezza e probità. Concetti vaghi, che proprio per questo motivo si applicano a una vasta fattispecie di comportanti. La Juventus, ad esempio, è stata penalizzata di 10 punti per il caso plusvalenze proprio in base a questo articolo del Codice, non in base all’articolo 31 (Violazioni in materia gestionale ed economica). La violazione da parte di un club degli obblighi prevista dall’articolo 4 prevede infatti una sanzione che va dall’ammonizione all’ammenda fino alla penalizzazione di uno o più punti in classifica. E per i tesserati la sanzione più grave prevista è ancora la squalifica o l’inibizione. È presto per dire cosa accadrà a Inter e Milan, ma vale la pena ricordare in conclusione che il Codice di giustizia sportiva prevede tra le circostanze aggravanti anche l’aver commesso un illecito “in concorso con soggetti facenti parte di associazione di tipo mafioso ai sensi dell’art. 416 bis del Codice penale”.

Il precedente della Juventus e di Agnelli
Si è già citato il caso di Andrea Agnelli e della Juventus. Nel 2017, in seguito a quanto emerso dall’inchiesta Alto Piemonte, l’allora presidente bianconero fu inizialmente inibito per un anno, mentre il club ricevette una multa da 300mila euro. In appello, a dicembre dello stesso anno, l’inibizione per Agnelli fu ridotta ai tre mesi fin lì già scontati e furono aumentate le ammende: 100mila euro per l’allora presidente e 600mila euro per la società. Furono anche annullate le sanzioni per gli altri dirigenti coinvolti, tranne l’ex direttore commerciale Francesco Calvo (un anno di squalifica). Agnelli e altri tesserati della Juventus non furono mai indagati dai pm di Torino. I processi accertarono che la ‘ndrangheta era riuscita a controllare i gruppi ultras dello Juventus Stadium. Tramite il controllo della curva, controllava anche il bagarinaggio e faceva pressioni sulla società per poter ottenere più biglietti di quanto consentito dalle norme della giustizia sportiva, ragione per cui Agnelli e la società (appunto mai coinvolti nell’inchiesta penale) furono condannati. Ad Agnelli e agli altri dirigenti in particolare fu contestata la frequentazione con Rocco Dominello, figlio di un uomo della cosca Pesce-Bellocco e uomo condannato per associazione mafiosa, che però per il tribunale sportivo “avvenne in maniera decisamente sporadica, ma soprattutto inconsapevole con riferimento alla conoscenza del presunto ruolo malavitoso dei soggetti citati”.