Fin dalla prima media, nella scuola dei miei figli sono state realizzate alcune iniziative legate al contrasto del bullismo e, soprattutto, del cyberbullismo. Professori ed esperti si alternavano nello spiegare ai ragazzi quali fossero i rischi legali di queste condotte e, spesso e volentieri per stessa ammissione dei partecipanti agli incontri in cui si alternavano forze dell’odine, avvocati penalisti e persino magistrati. I professori e gli esperti erano estremamente interessati, i ragazzi infinitamente felici… di saltare l’ora di latino, matematica o chissà che altro e poter fingere di ascoltare senza farlo veramente.
Da padre, mi sono subito reso conto dell’inutilità di questo modo di trattare un argomento così fondamentale per i ragazzi e per la loro crescita. Si parlava a loro con un linguaggio non loro; la scuola metteva la X nella casellina delle cose fatte, ma non si rendeva conto di non essere riuscita a mettere quella stessa X nella casellina dei problemi risolti.
Sia nella classe di Marco che in quella di Giovanni ci sono stati episodi di bullismo, tanto consapevole quanto inconsapevole (già, perché anche semplicemente essere presenti in una chat nella quale si prende di mira un compagno o una compagna senza intervenire è bullismo, mettiamoci il cuore in pace su questo, cari genitori della categoria “sì, ma mio figlio non ha detto o scritto nulla contro X o Y”) e a risolverli non sono state né le minacce di conseguenze legali per se stessi o per i propri genitori e tantomeno note di classe o individuali sul registro elettronico, bensì la capacità di fare gruppo in modo sano, facendo scoprire ai ragazzi che esiste un modo diverso di affermare la propria identità rispetto a quella della prepotenza.
Gli adolescenti non sono e mai sono stati semplici, ma oggi li indaghiamo di più e scopriamo di loro aspetti pericolosi, e drammatici quando vengono sbattuti in faccia a noi genitori. In questi giorni fa molto parlare di sé un progetto serio, crudo e interessantissimo che si chiama Legal Love che, condotto nelle scuole di tutta Italia, ha raccolto la voce di centinaia di ragazzi fra i 13 e i 18 anni (la loro voce, non quella degli esperti).
I risultati sono stati presentati in Campidoglio alla presenza della Consigliera di Roma Capitale, Francesca Barbato e, fra gli altri, di Consumerismo No Profit e RoadtoGreen2020, promotori dell’iniziativa. Qualche numero? Il 16% dei ragazzi fra i 13 e i 18 anni ha comportamenti sessuali a rischio; non si tratta solo di fare sesso senza preservativo, ma anche di farlo con sconosciuti e impegnarsi in una sorta di roulette russa dove perde chi resta incinta (e, nella versione più strong di quella che adesso si usa definire “challenge”, addirittura uno dei partecipanti è scientemente sieropositivo, non dicendolo agli altri e la gravidanza indesiderata è solo la minore delle conseguenze possibili).
Ma non finisce qui; il 30% usa abitualmente o saltuariamente sostanze stupefacenti, un adolescente su due è o è stato vittima di bullismo o cyberbullismo e uno su quattro dichiara di essere o essere stato bullo (consapevole o meno). Il 20% pratica l’autolesionismo, il 30% ha detto di soffrire di problemi legati alla nutrizione e il 60% consuma abitualmente prodotti alcolici.
Che ne dite, la finiamo di far parlare gli esperti davanti ad aule disinteressate e cominciamo ad ascoltare i nostri figli, a parlare davvero con loro e di loro? Sì, anche quando il discorso sembra scontrarsi contro un muro di gomma. La goccia scava la roccia. E fa breccia poco alla volta persino nei muri di gomma.