La procura di Parma lo aveva fatto dopo il ritrovamento del primo neonato e aveva reiterato quando erano stati trovati i resti del secondo bambino nel giardino di Vignale Traversetolo (Parma): chiedere l’arresto in carcere per Chiara Petrolini, la 22enne accusata di omicidio premeditato. La giovane, su ordine del gip che, è agli arresti domiciliari che nell’ordinanza ha evidenziato il “disprezzo per la vita umana” dell’indagata ma ha ritenuto che la misura fosse sufficiente.
La Procura di Parma oggi ha presentato appello al Tribunale del Riesame di Bologna chiedendo che il seppellimento del 7 agosto 2024 venga qualificato come soppressione di cadavere (reato più grave del semplice occultamento di cadavere) e per tutti i reati ipotizzati (omicidio volontario aggravato del 7 agosto; soppressione di cadavere aggravato del 7 agosto; soppressione di cadavere aggravato del 12 maggio 2023) sia applicata la custodia cautelare in carcere.
Secondo i pm Chiara Petrolini aveva un “disegno”. Tra gli elementi – oltre al fatto di non essersi mai fatta visitare e aver nascosto a tutti le gravidanze, le ricerche sul web anche su come indurre un aborto. Voleva “sopprimere la vita che cresceva dentro di lei” la convinzione degli inquirenti. E cosi è stato presentato l’appello dunque contro l’ordinanza del 19 settembre con cui il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di misura cautelare in relazione al reato di soppressione di cadavere riferito all’episodio del 7 agosto, ritenendo il meno grave reato di occultamento di cadavere e aveva disposto gli arresti domiciliari per i reati di omicidio volontario aggravato e di soppressione di cadavere. Nessuna richiesta cautelare era stata invece presentata per la morte del bambino del 12 maggio 2023.
A motivare la decisione della procura è stato lo stesso procuratore Roberto D’Avino con una nota che ripercorre la vicenda e tira in ballo anche il ruolo dei genitori.
Nel suo provvedimento, infatti, il gip aveva ritenuto sufficienti gli arresti domiciliari, con il divieto di comunicare con persone diverse da coloro che coabitano con l’indagata, anche in ragione del controllo che sarebbe stato fatto dai familiari conviventi. Una conclusione non condivisa dalla procura, “non potendosi affidare a terzi – dice il procuratore – nella specie, peraltro, a quegli stessi genitori che mai di nulla si erano accorti di ciò che avveniva in casa propria, il buon esito e l’efficacia degli arresti domiciliari”.