Politica

Regionali Liguria, lo scorpione Renzi punto dallo scorpione Paita

“Quando l’Agnello aprì il Settimo Sigillo, nel cielo si fece silenzio e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe”. In questo scenario apocalittico, metafora delle elezioni regionali liguri viste dal sedicente “campo largo”, rivelatosi un “campo minato”, ormai molti cadaveri politici galleggiano nelle acque marine del golfo.

Innanzitutto il settimo dei sigilli – intesi come liste elettorali – che, secondo il capo cordata del centro-sinistra light Andrea Orlando, avrebbe assicurato una copertura preziosa all’operazione presunta vincente; in quanto modello “zattera della medusa” che raccatta e imbarca tutti. Però così non è stato, e l’ultima lista non è stata presentata alla scadenza finale di sabato scorso per la pervicace volontà della sua coordinatrice nazionale – la renziana Raffaella Paita – di riprendersi la propria libertà di manovra bipartisan (a cui, per la verità, non aveva mai rinunciato). Lasciando – così – sulla battigia qualche annegato, come nella patetica vicenda strappalacrime del sindaco di Casarza Ligure Giovanni Stagnaro, coordinatore provinciale di Azione (il micro-partito personale di Carlo Calenda), che sedotto dalle lusinghe renziane aveva traslocato in Italia Viva nella convinzione di essersi assicurato un seggio in Regione. Ora, grazie al pacco della lista desaparecida, si trova ad aver perso – come si suol dire – tanto dal tappo come dalla spina. Una prece per il defunto (politicamente).

Ma la vicenda prosegue, con il prode Orlando che annaspa nell’acqua scura, zavorrato dalla ricetta mendace detta Terza Via – linea Blair-Clinton-Schröder, tradotta nell’italico-politichese dal duo Veltroni-Napolitano – per cui la sinistra vincerebbe le elezioni solo indossando i panni della destra. Difatti le ha perdute sempre, mentre il suo elettorato tradizionale emigrava nel non-voto sentendosi tradito. Eppure l’aspirante governatore ligure questo non lo capisce, in preda alla sorprendente illusione che in politica esista un centro né carne né pesce e che l’intitolazione “riformista” della settima lista (asettico sinonimo in versione buonista del retro-pensiero “niente deve cambiare, perché a me va bene così”) susciti un improbabile appeal nell’elettorato.

Intanto nei gorghi marini erano andate perse le tracce dell’aspirante rieccolo Claudio Burlando, che sino all’ultimo si era sbattuto per valorizzare il ruolo della Paita quale mediatrice, nonostante fosse altamente sospetta, e traslocare un po’ di amministratori locali sotto le di lei insegne. A riprova di quanti danni possono procurare sia gli innamoramenti senili, sia le inestirpabili convinzioni sulla politica come foro boario.

Comunque, nella pochade ligure, le spoglie più evidenti sono quelle del duo che pretendeva di incanalare l’appuntamento elettorale verso obiettivi personalistici, uguali seppure di segno contrario: ottenere la garanzia della propria rielezione nelle prossime politiche, per assicurarsi un seggio in parlamento; e le relative diarie e immunità. Con il Matteo Renzi Saudita che puntava il Pd, contando sulla sindrome di Stoccolma che affligge la segretaria Elly Schlein, ospite in casa d’altri, a cui lo stretto controllo subìto da parte dei cacicchi ormai si è trasformato in innamoramento dei controllori; mentre la muscolare Raffaella Paita ha sempre mantenuto il canale di scambi politici con il sindaco Marco Bucci, tradotto nell’assessorato del Comune di Genova per il paitiano Mauro Avvenente; che all’annuncio del cambio di linea politica in IV ha subito dichiarato di non avere la minima intenzione di rinunciare alla propria poltrona (secondo M5S e AVS la pistola fumante che conferma l’inattendibilità del renzismo).

Da anni seguo ammirato e atterrito la scalata ai Palazzi del Potere di Raffaella Paita; che non guarda in faccia nessuno. Persino il proprio boss Matteo Renzi, a rischio di essere lasciato a casa dopo aver fregato ogni alleato. Ma ora a essere fregato potrebbe essere lui, proprio dalla sua valchiria. Il cambio di ruoli nella favola dello scorpione che si fa traghettare dalla rana e poi la punge a morte, condividendone la sorte: mentre il Rignanese blandiva Orlando per uno strapuntino nelle liste regionali liguri, la pervicace Lella lo pugnalava alla schiena facendo campagna per Bucci. La solita “Lella te spiezzo in due”. Settimo sigillo compreso. Così da Ingmar Bergman scivoliamo nel Rocky di Sylvester Stallone, a riprova della piega grossolana presa dalla politica.

E in Liguria anche a destra non si scherza quanto a indecenza. Vista la corsa (di osceno cinismo) ad accaparrarsi il posto di vice nell’eventuale team vincente, come pole position per la suprema carica nel caso di defaillances fisiche del Bucci presidente.