Alessandro Michele è tornato e con lui non ci sono mezze misure. O lo si ama o lo si odia. E noi propendiamo decisamente per la prima.
“Bisogna gioire/ gioire bisogna”, ripeteva l’ipnotico canto. Un incessante “memento mori” per ricordare il senso di caducità della vita. Tutto puo’ cambiare in attimo, nasciamo con la consapevolezza di esser destinati a morire: e allora gioiamo, godiamo della vita e celebriamola. E’ questo il senso profondo dell”Inno alla Bellezza” di Alessandro Michele, che già con il primo look uscito in passerella ha spazzato via tutto il quet luxury e la monotonia di questi anni, riportando al centro della scena una moda volutamente alta, preziosa, opulenta, affascinante, démodé nel senso più letterale del termine. Lussuosa e preziosa anche nel quotidiano. Si’, perché il creativo si è immerso negli archivi di Valentino ed è stato attratto come una calamita dalle creazioni degli anni gloriosi di Garavani, dalla fine dei Sessanta agli Ottanta: anni di ricchezza e di un jet set mitico che ben sapeva come godersi la vita. Cosi’ Michele ha avviato il suo personalissimo dialogo sartoriale tra tempo e lusso, tra l’eredità di Valentino e l’ispirazione che ne ricavava. Il risultato sono abiti senza tempo, che rievocano un’epoca passata ma si proiettano nel futuro perché inevitabilmente destinati a lasciare un segno. Potrebbero uscire dal guardaroba di Liz Taylor come di uno dei personaggi di Agatha Christie in viaggio sull’Orient Express o da uno degli armadi abbandonati dai Romanov, perché parlano di un’eleganza che arriva da lontano e che credevamo perduta.
Ma guai a parlare di moda classista ed elitaria. Nel suo massimalismo e nell’iper ornamentazione dei suoi look c’è infatti un’apertura ad un pubblico più vasto possibile: dagli orecchini (anche quelli per il labbro) alle borsette alle scarpe, i cappelli, i bracciali o le calze di pizzo, fino ai jeans; c’è una vastità di oggetti per tutti i gusti e per tutte le tasche. Quasi un merchandising, come piace al popolo di TikTok ma anche ai manager che anelano ad un rialzo dei fatturati del brand: sono le regole del gioco, e Alessandro le conosce bene. Di più: sui social é già Michele-mania e certi accessori come le calze bianche di pizzo inizieranno ad essere copiati e rilanciati anche da altri marchi, invadendo gli scaffali dei negozi e i banchi del mercato. “Arrivare qui è stato come entrare a casa di un’altra persona. L’ho fatto in punta di piedi, cercando di prendermi cura delle cose preziosissime e fragili che c’erano. Ho passato molto tempo a studiare il lavoro di Valentino Garavani e ho capito che dentro ciò che ha fatto c’è grande amore per la bellezza e per la frivolezza, che non è frivolezza fine a se stessa. Noi vi abbiamo dato una connotazione negativa ma in verità è quanto di più necessario per assaporare la vita, é una leggerezza necessaria. E io oggi, in questo momento storico di passaggio, sentivo l’urgenza di recuperarla”, spiega lo stilista incontrando la stampa dopo al termine della sfilata. E, citando Michel de Montaigne, ricorda: “In natura non c’è niente di inutile; nemmeno l’inutilità stessa”.
Tutto questo si traduce in 85 look che condensano tutti i codici dell’estetica di Valentino e Michele, senza soluzione di continuità: fiocchi, stole di pelliccia, volant, balze; e ancora damaschi, abiti di chiffon con preziosi ricami floreali, maxi cappelli e pois. Si’, ci voleva Garavani per far usare per la prima volta al designer romano i pois. A tutto cio’ si intervallano jeans e blazer, tailleur pantalone e abiti dell’iconico rosso, emblema della maison. E alla fine è un trionfo. Ad applaudirlo, in una standing ovation collettiva, ci sono gli amici di sempre, da Harry Style a Jarred Leto e Damiano David, Carla Bruni, Paolo Sorrentino, Elthon John e Alessandro Borghi.