Immaginatevi un mondo in cui un’azienda non assumerà più un dipendente ma comprerà il lavoro come fosse acciaio, gas o imballaggi. Merce.

La Camera dei Deputati sta per dare il via libera alla liberalizzazione totale dei contratti di lavoro in somministrazione (ex interinali, per intenderci). Ossia sta per aumentare ancora la precarietà proprio nei settori produttivi meno qualificati. Eliminare i tetti percentuali attuali e consentire alle aziende di avere il cento per cento dei dipendenti non legati ad alcun vincolo contrattuale all’azienda nella quale lavorano. Tutto passerebbe per il rapporto tra l’impresa e l’agenzia interinale. Eppure, già oggi questa è la strada per l’irresponsabilità sociale delle aziende.

Lo sappiamo bene, si perde il conto dei casi, dal servizio clienti alle catene di abbigliamento, dalla ristorazione alla logistica, dalla cultura alla manifattura, fino all’amministrazione pubblica. Secondo i dati Inps, questa forma contrattuale negli ultimi due anni ha visto assunzioni per circa un milione di lavoratori l’anno. Peccato che in un anno altrettante siano le cessazioni.

Un esempio lampante: Stellantis non sta licenziando? Falso: sono già oltre 3.000 i lavoratori in somministrazione che risultano licenziati al giugno 2024. Nuove assunzioni non ce ne sono da anni. Perfino le Aziende Ospedaliere assumono operatori sanitari interinali, invece di attingere alle regolari graduatorie, per poi lasciarli a casa allo scadere del contratto.

È semplice: l’obiettivo di queste tipologie contrattuali è consentire di disporre just in time di manodopera che formalmente dipende da terzi, senza assumerne il rischio e la responsabilità come datore. Il disegno sul lavoro della destra al potere appare ormai chiaro, cristallino.

Anticipato dalla cancellazione del reddito di cittadinanza, si è cominciato a delineare, la primavera dello scorso anno, con l’alleggerimento della causale sui contratti a termine. Si mise mano al Decreto Dignità del 2018, che aveva tentato di porre un freno alla proliferazione senza limiti di contratti a termine, imponendo che quelli che raggiungevano l’anno di durata facessero immediatamente scattare, alla propria fine naturale, l’assunzione a tempo indeterminato. Una misura per impedire l’abuso di contratti precari, spesso utilizzati e reiterati dai datori di lavoro anche quando le prestazioni sono continuative. Grazie all’intervento del governo Meloni, in sostanza i datori di lavoro possono nuovamente ottenere prestazioni a tempo determinato fino a due anni di durata.

Poi, la grande simulazione del dibattito attorno al salario minimo. Ormai sappiamo a memoria come l’esecutivo abbia assunto su di sé la delega a legiferare, stravolgendo l’impianto della proposta delle opposizioni, pur di impedire l’introduzione per legge di minimi salariali e liquidare, assieme a quel tema, il dramma della miriade di tipologie contrattuali esistenti in Italia. Una foresta di contratti “atipici” che è uno dei fattori che fanno precipitare in basso salari.

Nel corso del dibattito sui subappalti a cascata, nonostante le morti insensate e le violenze dei caporali, il governo ha rifiutato la proposta di introdurre il principio di parità di trattamento. Una volta che non ci sarà più nessun lavoratore interno, la parità di trattamento non esisterà comunque più.

Il decreto-legge 19 del 2024 sul Pnrr, che sarebbe dovuto intervenire per aumentare la sicurezza del lavoro, è stato una beffa insopportabile. Secondo questa norma, le aziende come quelle coinvolte nel crollo del cantiere Esselunga con una sanzione e un corso di formazione recuperano i punti della loro “patente” e tornano alle attività dopo pochi mesi.

Col testo del decreto sulla riforma del pre-ruolo all’università, il governo ha riaperto le porte a nuove forme contrattuali più precarie, declassato gli assegni di ricerca a borse di studio, anziché stabilire una volta per tutte l’unicità del contratto di ricerca a tempo determinato. A luglio, col disegno di legge Calderone in materia di lavoro, è arrivata la reintroduzione di fatto delle dimissioni in bianco.

In caso di assenza ingiustificata oltre il termine previsto dal contratto o superiore a cinque giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica l’obbligo di comunicazione telematica delle dimissioni. Leggasi: il datore potrà cacciare il lavoratore (o la lavoratrice) oralmente, per poi accusarlo dopo 5 giorni di essersi assentato senza giustificazione.

Poi è arrivato il “caporalato di Stato” del ministro Lollobrigida. Un Servizio Civile Agricolo che recluta giovani dai 18 ai 28 anni a 507,30 euro al mese, ovvero 3 euro l’ora, per lavorare nei campi. Il disegno – come evidente – è accelerare ancor più la deregolamentazione in atto. In un Paese in cui dilagano il lavoro povero e lo sfruttamento.

Frammentare e precarizzare ancora di più di quanto già non sia, in un Paese in cui i contratti precari sono diventati il rapporto di lavoro più diffuso: secondo l’Osservatorio del precariato dell’Inps, nel 2023 l’82,8% dei contratti di lavoro attivati erano precari. Nel primo trimestre del 2024 siamo già al 75,7% di nuovi rapporti di lavoro attivati con tipologie contrattuali temporanee, con un meno 5% per i contratti a tempo indeterminato e -11% per quelli di apprendistato. Senza contare i tirocini extracurriculari, le finte partite Iva, il lavoro nero e irregolare.

Eppure, imperversa la retorica trionfalistica della crescita dell’occupazione. Peccato che, secondo Eurostat, lo scorso anno l’Italia fosse all’ultimo posto per tasso di occupazione generale, aggravato da quello femminile: il 2023 si è chiuso con il 61,5% contro il 70,4% del resto d’Europa, per le donne con il 52,5% rispetto al 65,7% comunitario.

E c’è un altro dato: a schizzare è il dato sull’occupazione temporanea giovanile. Il 34,4% dei contratti chiusi nel 2023 aveva come durata massima un mese (dati delle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro). Secondo l’Inps, la retribuzione media dei 3,5 milioni di dipendenti under 30 di aziende private lo scorso anno non superava i 13mila euro. È poco di più della metà della media nazionale. E si alimenta una fuga di giovani dal nostro Paese che va avanti da almeno 20 anni. Secondo il rapporto Giovani 2024: Bilancio di una Generazione, realizzato dal Consiglio Nazionale dei Giovani e dall’Agenzia Italiana per la Gioventù, nel solo 2021 18mila giovani hanno lasciato l’Italia, con un aumento del 281% rispetto al 2011.

Il governo Meloni sta condannando le giovani generazioni all’insicurezza permanente, a un futuro fatto di lavoro intermittente e povero. Negli ultimi due decenni la popolazione under 35 si è ridotta di quasi 3,5 milioni di unità (-21%). L’Italia è ultima in Europa per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’UE. Ecco l’unica migrazione che dovremmo fermare. Ma, come avrete colto, per chi alimenta la guerra tra gli ultimi l’obiettivo di fondo è un altro.

Vogliono un esercito di lavoratori fantasma. Lavoro a basso costo, ricattabilità al 100%.

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