I tifosi fuori dal palazzo di giustizia, gli ex compagni di squadra, gli striscioni rossoblu con un grande “8”, il numero che Denis Bergamini non ha più potuto indossare da quella maledetta notte del 18 novembre 1989. Sedici anni di carcere: meno della metà di quelli che sono serviti per arrivare a una verità processuale, seppur in primo grado, per l’omicidio del calciatore del Cosenza, consumato 35 anni fa. Davanti alla Corte d’Assise, si è concluso così il processo nei confronti dell’unica imputata: Isabella Internò. Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, l’ex fidanzata di Bergamini ha reso dichiarazioni spontanee: “Voglio solo dire che sono innocente e non ho commesso niente. Lo giuro davanti a Dio. Dio è l’unico testimone che non posso avere al mio fianco”.
Un appello che, evidentemente, cozza con le convinzioni che i magistrati si sono fatti al termine dell’istruttoria dibattimentale. Nelle scorse settimane, il procuratore di Castrovillari Alessandro D’Alessio e il pm Luca Primicerio avevano invocato 23 anni di carcere per la Internò accusata di omicidio volontario in concorso con ignoti. Escluse le aggravanti e concesse le attenuanti generiche, la Corte d’Assise ha stabilito che dovrà scontare 16 anni di reclusione. In ogni caso per i giudici la Internò è responsabile della morte di Denis. La Corte ha condiviso la tesi della Procura: non è stato un suicidio quello di Bergamini il cui corpo è stato trovato senza vita lungo la Statale 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico. Denis era sotto un camion che lo avrebbe investito stando all’unica testimone oculare, l’ex fidanzata del calciatore appunto. Proprio la Internò, infatti, all’epoca disse che, poco prima di morire, Bergamini scese dalla sua Maserati e si lanciò sotto le ruote del camion di Raffaele Pisano, la cui posizione è stata archiviata. “Voleva lasciare il calcio. – avrebbe affermato allora Isabella Internò – L’ho sentito dire: ‘Ti lascio il mio cuore, ma non il mio corpo’. E poi si è tuffato”.
Una versione di comodo per la Procura di Castrovillari secondo cui Bergamini sarebbe stato già morto quando fu investito dal camion. Nei due giorni di requisitoria, infatti, i pubblici ministeri avevano illustrato le risultanze della perizia eseguita nel 2017 dai medici legali sottolineando le incongruenze delle dichiarazioni rilasciate dall’ex fidanzata di Bergamini sin dal 1989. Quella del suicidio, infatti, per la Procura di Castrovillari è una “teoria strampalata falsa, inverosimile. Bergamini è stato vittima di una asfissia meccanica violenta, prima che il camion di Pisano lo sormontasse. Tutti gli esami dei periti parlano di compatibilità del corpo di Bergamini con asfissia di compressione con un mezzo soft, probabilmente una sciarpa o un sacchetto che può non lasciare segni sul collo. Il calciatore era già morto quando è stato disteso a terra. È stato un delitto passionale e non un suicidio”.
In attesa di leggere le motivazioni, la sentenza dà ragione alla sorella del calciatore Donata Bergamini, assistita dall’avvocato Fabio Anselmo. Nonostante le diverse archiviazioni incassate da Isabella Internò nelle precedenti inchieste, infatti, Donata in tutti questi anni non si è mai arresa e non ha mai accettato una ricostruzione finalizzata probabilmente a proteggere qualcuno: Denis non avrebbe avuto alcun motivo di suicidarsi. In quel momento era il punto di riferimento del Cosenza in serie B e l’anno successivo avrebbe avuto la possibilità di giocare con il Parma o con la Fiorentina.
Il movente del delitto sarebbe stato collegato alla decisione della Internò di abortire dopo essere rimasta incinta dal suo fidanzato. “Voleva un matrimonio riparatore, – è stata la tesi dei pm – mentre Bergamini, pur volendo tenere il bambino, non avrebbe mai voluto sposarla a causa del suo carattere ossessivo. Internò lo stalkerizzava e ha continuato a farlo fino alla fine, nonostante la loro relazione fosse chiusa definitivamente da mesi”. Ecco perché, secondo la Procura, “Isabella Internò è la mandante e concorre nell’omicidio di Denis Bergamini, la cui colpa è stata quella di aver chiuso la loro relazione e di non averla sposata per salvare l’onore dopo l’aborto di due anni prima. Internò ha tradito l’affetto che il ragazzo aveva per lei, ha esasperato il rapporto e pur di salvare l’onore non ha esitato ad agire. Internò è responsabile dell’omicidio di Denis Bergamini. Ha agito con volontà con persone in corso di identificazione”.
Se anche la Corte d’Assise di Cosenza, presieduta da Paola Lucente con Marco Bilotta a latere, ritiene che Isabella Internò abbia ucciso Denis Bergamini facendosi aiutare da altri complici, lo si capirà tra 90 giorni quando sarà depositata la sentenza. E nel caso, è chiaro che le indagini dovranno continuare in attesa del processo d’appello.
“Finalmente la Corte ci ha dato ragione. Quando ho capito che la giustizia arrivava, la mia testa è andata a mio fratello, a mio padre e a mia madre che è ancora in vita ma che probabilmente non riuscirà a capire per la sua malattia”. È stato il commento di Donata Bergamini visibilmente commossa dopo la sentenza della Corte. “Ho pensato subito – ha aggiunto – ai miei figli che hanno finalmente smesso di portarsi dietro questa macchia. Gli ho sempre detto che nella giustizia bisogna avere fiducia che prima o poi la giustizia arriva. Ho provato felicità anche per i miei nipoti che non subiranno quello che hanno subito i miei figli. Cosa ho provato vedendo Internò? Niente non mi ha fatto nessun effetto perché quella persona lì per me era già in carcere prima. L’entità della pena non mi interessa in questo momento, per me la cosa più importante era che quello che sia io che mio padre avevamo subito visto dall’inizio, quello che dicevamo era vero, che Denis era stato ucciso”.