Il centrodestra di governo ribadisce il no al salario minimo. Alla Camera la maggioranza ha bocciato l’ennesima proposta del centrosinistra questa volta sotto forma di emendamento al ddl Lavoro. I voti contrari, dei partiti dell’area di governo, sono stati 148, quelli favorevoli 111 gli astenuti sono stati 6 (tutti di Italia Viva). Il testo era firmato da leader e capigruppo di tutti i partiti di minoranza ad eccezione di Iv: i primi firmatari erano Giuseppe Conte, Elly Schlein, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Matteo Richetti e Riccardo Magi. Tutti i parlamentari dei rispettivi gruppi (M5s, Pd, Verdi-Sinistra, Azione e +Europa) sono intervenuti a titolo personale – per un minuto ciascuno, come da regolamento – a favore dell’emendamento. Gli interventi non hanno avuto ragioni ostruzionistiche, ma nascono dalla volontà politica di sostenere questa battaglia politica. Poco meno di un anno fa la maggioranza aveva smontato e svuotato la proposta di legge unitaria presentata dai 5 partiti di opposizione con un emendamento che dava una delega al governo per una normativa alternativa. L’esecutivo aveva poi girato la questione al Cnel guidato da Renato Brunetta il quale alla fine ha detto che un salario minimo per legge non serve.
Da lì ecco la nuova bocciatura di oggi, “ignobile” l’ha definita Chiara Appendino (M5s). “Noi non ci arrenderemo mai sul salario minimo – ha detto l’ex premier Conte prendendo la parola in Aula -. Abbiamo raccolto le firme del paese, forti del sostegno popolare torneremo a interpellare le vostre coscienze. Molti vostri elettori sono favorevoli a questa misura e sono convinto che molti di voi nel foro interno credono che questa misura sia necessaria”. Conte ha attaccato la maggioranza, accusandola di “amichettismo”: “Se sei amico di Arianna Meloni ed hai un autonoleggio passi a gestire l’Ales, passi a uno stipendio di 150mila euro. E’ questa l’Italia che non vogliamo, lasci i giovani sottopagati e favorisci l’amichettismo. Per questo i nostri giovani cercano rifugio in altri Paesi”.
Per il Pd è intervenuta Maria Cecilia Guerra, responsabile nazionale Lavoro del partito: “L’articolo 36 della Costituzione ci dice che il lavoro è dignità e libertà, che il salario deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro, perché altrimenti il lavoro perde dignità e libertà. Noi siamo per salario minimo perché siamo contro la schiavitù“. L’obiettivo, aggiunge il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, è “costruire una protezione sociale contro una diseguaglianza che ormai raggiunge livelli di disperazione in tanti settori del nostro Paese. Anche per chi ha la fortuna di avere un lavoro il rischio povertà è dietro l’angolo: lavorare ed essere poveri, due parole che non dovrebbero stare insieme. Questa maggioranza è allergica alle regole, o almeno – prosegue l’esponente rossoverde – per essere più precisi ad alcune regole: è allergica a tutte le regole per tutelare chi è più debole. Questa è la destra sociale a chiacchiere, che quando si occupa delle cose concrete torna ad essere la destra delle elite e dei privilegi“.
Notevole il riposizionamento di Italia Viva che dopo aver sposato la linea del rientro nella coalizione di centrosinistra cambia idea anche sul salario minimo al quale ha sempre detto di no (tant’è vero che non ci sono firmatari del partito alla proposta di legge unitaria e non ha partecipato alla raccolta firme per la proposta di iniziativa popolare). Ora Iv si astiene e il capogruppo Davide Faraone spiega che “il salario minimo è per noi una misura indispensabile” anche se “il suo costo non può essere fatto ricadere sulla fiscalità generale o sulle spalle degli imprenditori”.