Mentre sentiamo il rumore dei cingolati che entrano in Libano, mentre migliaia di persone in quella parte del mondo stanno piangendo i loro cari finiti sotto i bombardamenti israeliani, mentre Bibi Netanyahu rimonta nei sondaggi grazie ad una stampa internazionale che quando lo critica gli fa una carezza, mentre prosegue un assurdo conflitto nel cuore dell’Europa alimentato dalla propaganda bellicista delle maggiori testate occidentali, suonano come aria fresca e pulita le parole di Julian Assange al suo primo ritorno pubblico.

Testimoniando a Strasburgo davanti ad una commissione di affari giuridici e diritti umani del Consiglio d’Europa, dopo 14 anni di isolamento e detenzione, rilasciato lo scorso giugno dopo una complessa mediazione gestita dal suo team legale, il fondatore di WikiLeaks ha ripreso ad attaccare e denunciare l’informazione soffocata: “Vedo più impunità, più segretezza, più rappresaglie per aver detto la verità, e più autocensura. E’ difficile non tracciare una linea tra il governo degli Stati Uniti che attraversa il Rubicone criminalizzando a livello internazionale il giornalismo e il freddo clima attuale per la libertà di espressione”. Dunque ormai non si torna indietro, i guai di una stampa asservita sono sotto gli occhi di tutti.

Due aspetti del suo discorso – peraltro legato al rapporto preparato dalla socialista islandese Thorhildur Sunna Aevarsdottir che l’assemblea voterà domani e che verte sulla sua detenzione, sulla condanna e sull’effetto dissuasivo e di autocensura ha su tutti i giornalisti, gli editori di altri soggetti legati all’informazione – colpiscono e dovranno essere alla base di ogni futura elaborazione in materia.

Il primo è che nel suo caso, dice Assange, l’intelligence statunitense ha spinto per reinterpretare la legge fino ad ottenere una forzatura della Costituzione: dunque l’autorità politica non è stata in grado o non ha voluto esercitare una sua sovranità sull’ordinamento giuridico e la sua applicazione. I poteri paralleli, in Italia lo sappiamo bene, possono agire al di sopra e contro la legge. Di conseguenza “le leggi sono pezzi di carta, sono stato ingenuo nel crederci”, ha detto Assange, portando con drammaticità all’attenzione dell’organismo europeo e della opinione pubblica di tutto il mondo l’altra dolente questione: lo stato di diritto di per sé può essere solo un gigante di carta se viene usato a beneficio dei più forti.

Sarà interessante vedere come il Parlamento europeo voterà il rapporto della deputata islandese ma di certo le questioni poste riguardano l’essenza di una democrazia alla deriva e compromessa – abbiamo passato il Rubicone – dallo strapotere di una classe dirigente che ha già piegato l’Occidente e la sua cultura giuridica a difendere solo se stessa. L’intervento di Assange ci riporta all’essenza della questione democratica piegata troppo spesso anche a sinistra ad un conformismo deleterio e vuoto.

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Julian Assange: “Sono libero perché mi sono dichiarato colpevole di giornalismo. L’Europa agisca per salvare la libertà d’espressione”

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