Calcio

L’allenatore di 76 anni dietro le sbarre e i detenuti in goal. Sfida nel carcere di Cremona: “Dagli insulti ai premi, che soddisfazione”

“E’ davvero un bell’impegno, ma estremamente gratificante. Eppoi mi diverto”. Gigi Bertoletti, cremonese, 76 anni ex litografo, una vita nell’ambito calcistico locale, racconta a ilfattoquotidiano.it la sua esperienza di allenatore di calcio dei detenuti del carcere di Cà del Ferro, a Cremona. Tutto ha inizio quando viene interpellato dalla sezione locale Uisp (Unione italiana sport […]

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“E’ davvero un bell’impegno, ma estremamente gratificante. Eppoi mi diverto”. Gigi Bertoletti, cremonese, 76 anni ex litografo, una vita nell’ambito calcistico locale, racconta a ilfattoquotidiano.it la sua esperienza di allenatore di calcio dei detenuti del carcere di Cà del Ferro, a Cremona. Tutto ha inizio quando viene interpellato dalla sezione locale Uisp (Unione italiana sport per tutti): “Era il 2003, mi hanno proposto di portare in carcere la mia lunga esperienza nel mondo del calcio dentro al carcere. Prima di me ci aveva provato un amico ma ha resistito solo pochi giorni. Io ho accettato subito ed oggi sono sempre più fiero di averlo fatto”.

Gigi, il ‘ct dei detenuti’ come lo chiamano con affetto, non si limita ad allenarli ma li dirige nelle partitelle che lui stesso organizza in base agli spazi e ai momenti di ‘libertà’ che i detenuti hanno durante la giornata. Di solito un’oretta o poco più al giorno, generalmente dalle 13 alle 14. “Oltre che come atleti, cerco di farli crescere anche come uomini. Cerco i ragazzi più bravi a giocare a calcio. Per la maggior parte la popolazione carceraria è straniera. I più talentuosi – e ce ne sono avendo molti di loro giocato a discreti livelli nei rispettivi Paesi, ad esempio in Romania e Marocco – li convoco per giocare le partite fuori dal carcere contro alcune rappresentative comunali, di associazioni di volontariato del territorio o delle scuole cittadine”, confida Bertoletti. Associazioni che forniscono gratuitamente anche materiale e abbigliamento. “La stessa Unione Sportiva Cremonese ci ha aiutato molto in questo senso”.

Gigi, all’epoca in cui era un calciatore, ha giocato in Prima Categoria come attaccante. Poi, appese le scarpette al chiodo, “ho iniziato ad allenare squadre giovanili di provincia”. Poi l’attività in carcere. La prima volta che sono entrato? “Un gruppo di ragazzi mi circonda e mi fa: ‘Che ci fai qui?’ Ora non ho bisogno di presentarmi, anche i nuovi sanno già chi sono”. Ci sono due campetti in carcere: uno in sintetico ed uno in terra un po’ più grande. “Facciamo sia partite di calcio a 5 che a 7. Prima che arrivassi non c’erano regole. Ho migliorato, attenuandola, la loro irruenza. Prima molti finivano in infermeria. In più, qualcuno mi ha anche riempito di parolacce, nella sua lingua. Non capivo cosa stesse dicendo, ma l’ho sicuramente intuito. Ora va decisamente meglio. C’è più correttezza”. Gigi evoca inoltre, con un mezzo sorriso, un episodio relativo al periodo del Calcio scommesse: “Incontrai in carcere Marco Paoloni, l’ex portiere della Cremonese coinvolto nell’inchiesta. Lo conoscevo, naturalmente, avendo io lavorato per la società grigiorossa. E mi dice: ‘Cosa ci fai qui?’. No, gli dico io: cosa ci fai tu qui?”. Alla fine è stato arruolato nella rappresentativa dei detenuti, ma non in porta. Infine Gigi ricorda il premio assegnatogli dal Coni: “La cerimonia in Comune, che soddisfazione”. Motivazione del riconoscimento? L’impegno per creare un ponte tra sport e solidarietà.