Non possono passare inosservate le recenti dichiarazioni dell’ad di Aspi, Roberto Tomasi, che in occasione della recente celebrazione dei 100 anni dell’A8 Milano-Varese, ha affermato che nel prossimo futuro i pedaggi autostradali in Italia registreranno “un incremento moderato rispetto a quelle che sono le necessità del paese, con un adeguamento alla crescita dell’inflazione”. Aspi, il concessionario pubblico, che gestisce la metà della rete autostradale italiana, si fa avanti per dettare gli incrementi sui futuri pedaggi. Mentre il titolare del MIT Matteo Salvini sbandiera “siamo al lavoro per limitare gli aumenti dei pedaggi”, il concessionario (lo Stato) preme per vedersi riconosciuti nuovi incrementi tariffari.

In questo caso è bene ricordare che l’attuale ad di Autostrade per l’Italia (Aspi) ricopre questo incarico dal 2019 quando la proprietà era ancora dei Benetton e lo è ancora oggi che l’autostrada è sotto il controllo pubblico. Tomasi dovrebbe sapere che la normativa tariffaria è di competenza dell’Autorità dei trasporti tariffaria. Il passaggio allo Stato era costato la cifra stratosferica di 8,2 miliardi e fu definito dai parenti delle vittime del Ponte Morandi “uno smacco al nostro dolore”.

Anche per i contribuenti e i consumatori sarà un nuovo duro colpo alle loro tasche. L’acquisizione di Autostrade per l’Italia è avvenuta da parte di Holding Reti Autostradali S.p.A.(HRA), veicolo di investimento costituito in Italia e partecipato da Cdp Equity, il braccio finanziario del Ministero delle Finanze (51%), Blackstone Infrastructure Partners (24,5%) e dai fondi gestiti da Macquarie Asset Management (24,5%) a cui difficilmente interesseranno l’ammodernamento della rete e la sua messa insicurezza, se ciò rappresenta una diminuzione degli utili.

Se i 3mila km di rete sono già ammortizzati e con tali pedaggi ci sarebbe da leccarsi i baffi, ora si scopre che i nuovi investimenti per gli ammodernamenti della vecchia e insicura rete dovranno essere pagati dagli aumenti tariffari. I nuovi proprietari, lo Stato e i due fondi d’investimento, non essendo stata revocata la concessione ad Autostrade che durerà fino al 2038, hanno lasciato inalterato il contratto con il concedente cioè lo Stato. Lo stesso contratto che in questi anni ha consentito ad Autostrade di macinare extraprofitti grazie all’aumento del traffico, agli aumenti dei pedaggi automatici (la scala mobile per le tariffe pubbliche non è mai stata abolita mentre quella per i lavoratori dipendenti sì), lasciando andare alla malora ponti e gallerie, aumentando le royalties degli autogrill, dei distributori di benzina e gasolio, riducendo quasi a zero i casellanti grazie al Telepass e il personale della sicurezza.

Nel 2023, ad Aspi è stato riconosciuto un aumento del 3,34% lungo tutto l’anno (+2% dal primo gennaio e +1,34% dal primo luglio). Nel 2024, i rincari sono stati del 2,3%. La produttività aumenta mentre i pedaggi, anziché diminuire, continuano ad aumentare. La beffa di questa acquisizione è che i Benetton si sono arricchiti con Aspi e ora lasciano allo Stato i costi degli ammodernamenti, della messa in sicurezza della rete e della mitigazione ambientale che lo Stato dovrebbe imporre a se stesso. Imporre, perché per i nuovi azionisti CDP e i due Fondi valgono le regole di prima che consentono extra profitti e di conseguenza ricchi dividendi.

Il passaggio di proprietà è comunque in perfetta continuità con la gestione precedente: ci saranno tanti profitti, scarsi investimenti, poca manutenzione e automobilisti “spennati”. La musica, ovvero le regole contrattuali della concessione, resterà infatti la stessa. Sono cambiati solo i suonatori. Da questa vicenda lo Stato ne esce da padrone, seppure a metà. Aspi sarà un padrone perdente, visto che i meccanismi regolatori tutelano prima l’interesse privato e poi (forse) il bene pubblico.

La rendita di Aspi è stata trasferita da una holding privata a una finanziaria pubblica,la CDP, che – va ricordato – ha la missione di fare profitti per i Ministero delle Finanze. Che tutto debba essere come prima, cioè che i profitti e le rendite debbano restare immutati, lo sostiene pure il sindacato dei trasporti della Cgil, secondo la quale “se si restringono i margini di guadagno per le concessionarie, gli effetti si possono scaricare sui lavoratori” un aiutino corporativo all’Aspi non poteva mancare.

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