Ambiente & Veleni

Greenpeace mappa i Pfas nelle acque potabili delle città: “Draghi smentito dai dati. La politica intervenga per ridurne la diffusione”

Una fontana di acqua potabile in un parco di Milano e una bottiglia per raccogliere il campione, da etichettare e portare in laboratorio. Obiettivo: capire se quell’acqua contiene Pfas, le sostanze poli e perfluoroalchiliche conosciute come ‘inquinanti eterni’ perché si degradano in tempi lunghissimi, possono inquinare fonti d’acqua, aria e coltivazioni e diffondersi nel sangue, con gravi rischi per la salute umana. La raccolta dei campioni è diventata ormai una prassi per Greenpeace. Dopo le tappe di Toscana, Liguria, Valle D’Aosta e Piemonte, è arrivata in Lombardia, nell’ambito della spedizione ‘Acque senza veleni’, la prima indagine completa e indipendente sulla presenza di Pfas nelle acque potabili in Italia. Per cinque settimane, fino a fine ottobre, l’ong raccoglierà acqua ad uso potabile in almeno 220 città di tutte le regioni e realizzerà la prima mappatura nazionale della contaminazione da Pfas. Accade nei giorni della polemica innescata dalla relazione sul futura della competitività europea presentata a Bruxelles da Mario Draghi, secondo cui ad oggi è impossibile sostituire i Pfas nel percorso di transizione ecologica. “Draghi è smentito dai dati dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche” replica Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, raggiunto da ilFattoQuotidiano.it al Parco di Villa Litta, a Milano, durante un campionamento. E aggiunge: “A dispetto di quanto afferma, nella stragrande maggioranza dei settori industriali, inclusi quelli delle energie rinnovabili, esistono già delle alternative ai Pfas. I dossier dell’Echa ne individuano nel settore delle batterie agli ioni di litio, per i semiconduttori, per le pale eoliche”.

Controlli sporadici in quasi tutta Italia. Greenpeace analizzerà 60 molecole – Nel frattempo, la raccolta dei campioni va avanti. I risultati delle analisi saranno diffusi a inizio 2025, quando si capirà l’estensione della contaminazione da Pfas e l’ong potrà identificare eventuali nuove aree colpite, oltre quelle già note, come quelle del Veneto e del Piemonte. Come mostrato dall’associazione, le verifiche su fiumi, laghi e acque sotterranee eseguite tra il 2019 e il 2022 dalle autorità competenti hanno riguardato per quasi il 70% solo quattro regioni del Nord Italia, ossia Veneto e Piemonte, interessate da contaminazioni gravi e accertate, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia. Nel resto d’Italia, le analisi sono sporadiche, con ampie aree non monitorate affatto. E se nelle precedenti indagini di Greenpeace, come quelle in Lombardia e Piemonte, la maggior parte dei dati portati alla luce dalla ong era comunque stato raccolto dalle autorità competenti, questa volta tutti i campionamenti saranno eseguiti in modo autonomo da Greenpeace. “Andiamo a colmare una lacuna di conoscenze con un monitoraggio indipendente e analisi molto più approfondite rispetto a quelle che fanno normalmente gli enti pubblici. Su un totale di oltre 10mila molecole (di cui solo una manciata sono regolamentate), quelli più bravi ne monitorano tra le 25 e le 30, mentre noi ne cercheremo una sessantina”. Tra queste, anche il Pfoa (acido perfluoroottanoico), classificato come cancerogeno per le persone e il Pfos (acido perfluoroottansulfonico), classificato come possibile cancerogeno.

La situazione in Lombardia – Come ricorda Greenpeace, in Lombardia è emersa una delle contaminazioni da Pfas più estese in Italia, in particolare proprio per il Pfoa e il Pfos. In Regione le analisi sono state condotte dall’Arpa a partire dal 2017 e “tra il 2019 e il 2022, il tasso di positività è stato del 26%”. Campionamenti indipendenti, realizzati invece da Greenpeace tra il 12 e il 18 maggio 2023, avevano mostrato come in 11 campioni su 31, circa il 35% del totale, ci fosse presenza di Pfas nelle acque potabili di diversi comuni lombardi. In quattro casi era stata riscontrata una contaminazione superiore al limite della Direttiva europea 2020/2184, pari a 100 nanogrammi per litro: a Caravaggio e Mozzanica, in provincia di Bergamo, e a Corte Palasio e Crespiatica, in provincia di Lodi. Contaminazioni da Pfas erano emerse nei comuni di Caravaggio e Pontirolo Nuovo (Bergamo), Capriolo (Brescia), Somma Lombardo (Varese) oltre ad alcune fontanelle del Comune di Milano. Questa volta, nell’ambito della spedizione “Acque senza veleni”, Greenpeace Italia ha organizzato campionamenti a Cremona, Lodi, Crespiatica, Crema, Treviglio, a Milano e nell’hinterland e, ancora, a Brugherio, Cinisello Balsamo, Monza, Busto Arsizio, Varese, Como, Mariano Comense, Lecco, Mandello del Lario, Sondrio, Bergamo, Palazzolo sull’Oglio, Brescia, Desenzano del Garda, Mantova, Suzzara. “Chiediamo alla Regione Lombardia di pubblicare gli esiti dei monitoraggi effettuati negli ultimi anni in modo trasparente e accessibile alla collettività e, parallelamente, individuare e fermare tutte le fonti inquinanti” aggiunge Ungherese.

La tutela che non c’è e la reazione alla proposta di Draghi – Ad oggi si attende l’entrata in vigore, a gennaio 2026, della direttiva comunitaria 2184/2020 che, però, prevede un limite di 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 molecole, molto più alto rispetto a quelli che diversi Paesi si sono già imposti autonomamente. “La direttiva è già superata dalla scienza – aggiunge Ungherese – dato che alcune di queste molecole sono ormai ritenute cancerogene o possibili cancerogene”. In Italia, però, non solo manca una legge nazionale che possa almeno limitare la presenza di Pfas nelle acque potabili. Mentre Stati Uniti e diversi Paesi europei hanno già adottato dei limiti all’uso dei Pfas, sostituendoli con alternative più sicure già disponibili, l’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi sostiene che ad oggi è impossibile sostituirle nel percorso di transizione ecologica. Il riferimento è alla eventualità di restrizione dei Pfas richiesta da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia. E al centro dell’attenzione è finito anche l’Aquivion, prodotto da Syensqo (ex Solvay) nell’impianto inaugurato a settembre 2023 a Spinetta Marengo (Alessandria) e destinato alla produzione di idrogeno verde. Una tecnologia che dovrebbe permettere all’Italia di competere con la Cina. Ma durante l’ultima Commissione Sicurezza e Ambiente, la ricercatrice dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del Cnr, Sara Valsecchi, ha presentato uno studio sulle acque della zona in questione, segnalando che, in corrispondenza e a valle dello scarico di Solvay, sono stati trovati – oltre ai Pfas già noti e prodotti dal polo chimico “tre miscele di composti e tre composti” che “potrebbero essere prodotti che si generano durante le sintesi dell’Aquivion. Tra questi, il Tfa, prodotto di degradazione altamente persistente associato anche ai pesticidi Pfas e riscontrato nel fiume Bormida, a valle del polo industriale. Da qui la richiesta di nuove analisi.