Media & Regime

Riforma della Rai, incardinate sei proposte in commissione: “Dobbiamo chiudere entro l’estate”

Sulla riforma della Rai deboli segnali arrivano dal Parlamento. In Senato, come annunciato nei giorni scorsi, sono stati incardinati sei disegni di legge, depositatati da Fi, M5s, Lega, Pd (due testi) e Avs, quest’ultimo annunciato ma non ancora assegnato. Stando a quanto stabilito dall’European Media Freedom Act, le governance delle emittenti pubbliche devono essere scelte […]

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Sulla riforma della Rai deboli segnali arrivano dal Parlamento. In Senato, come annunciato nei giorni scorsi, sono stati incardinati sei disegni di legge, depositatati da Fi, M5s, Lega, Pd (due testi) e Avs, quest’ultimo annunciato ma non ancora assegnato. Stando a quanto stabilito dall’European Media Freedom Act, le governance delle emittenti pubbliche devono essere scelte con procedure trasparenti e indipendenti dalla politica. Questo rende automaticamente la dirigenza di viale Mazzini fuori legge: il governo italiano ha tempo fino alla prossima estate per adeguarsi e, nel frattempo, il Parlamento ha continuato con l’elezione dei membri del cda. Una procedura a cui non hanno partecipato solo Pd e Italia viva.

Nel frattempo si cerca di far partire la discussione in Parlamento, anche se risulta molto difficile pensare al momento a un’intesa che rispetti la norma voluta da Bruxelles. “Questo incardinamento”, ha detto Roberto Rosso, di Forza Italia, relatore della riforma Rai, a margine della riunione dell’ottava commissione, “nasce da una promessa e da un accordo fatto in Vigilanza, anche rispetto a quello che ha chiesto l’Europa. E’ probabile che i gruppi integreranno le proposte, manca quella di Fratelli d’Italia. Ma abbiamo avviato un percorso. Non è un decreto e abbiamo come vincolo quello di chiudere entro l’estate. Dobbiamo decidere come procedere, con un testo unificato o se scegliere un testo base ove ritenuto più adatto. Oggi c’è stato un primo passo, mi auguro si proceda speditamente”.

“Finalmente le proposte sono state incardinate”, ha detto la presidente della Vigilanza Rai Barbara Floridia (M5s). “Mi auguro si arrivi a una riforma il più condivisa possibile, che si possa trovare la quadra con tutti i partiti il prima possibile”. Al momento però, manca la posizione del partito di Giorgia Meloni: “L’impegno è stato rispettato, poi si vedrà come procedere”, ha sottolineato il presidente dei senatori di FI Maurizio Gasparri. La commissione dovrebbe tornare a riunirsi la prossima settimana e una delle prime decisioni potrebbe essere quella di fissare una serie di audizioni sulla riforma. Non è escluso, inoltre, che arrivino in Senato altri Ddl da parte di altri gruppi parlamentari, a partire da FdI che ancora non ha depositato una sua proposta di riforma.

Per Antonio Nicita, vicepresidente del gruppo dem e firmatario di una delle proposte, “il punto di fondo è quello di garantire un’offerta del servizio pubblico indipendente, autonoma, plurale con un sistema di governane basato sui migliori modelli esistenti e consolidati dall’esperienza; una Rai fondata sull’informazione di qualità e il contrasto alla disinformazione, capace di competere con i migliori modelli in Europa. Questo significa oggi basarsi anche sui principi e le regole sancite in Europa dal Media Freedom Act che rafforza le garanzie di indipendenza e autonomia del servizio pubblico radiotelevisivo inteso come uno dei pilastri fondamentali dello stato di diritto, nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti”.

Il percorso è dunque lungo, anche perché l’idea espressa dai leader di maggioranza è arrivare a una riforma complessiva del settore, che disciplini anche il ruolo dei giganti del web e intervenga nel campo dell’editoria. Per questo a breve dovrebbero partire in Commissione di Vigilanza gli Stati Generali, promossi dalla presidente Barbara Floridia, per ascoltare esperti e provare a mettere alcuni punti fermi il più possibile condivisi. Un percorso parallelo si svolgerà in Commissione al Senato, dove si inizierà con un ciclo di audizioni per poi decidere se mettere in piedi un comitato ristretto per la stesura di un testo unificato, che possa raccogliere spunti di tutti i partiti, o l’adozione di un testo base tra quelli presentati da modificare nel corso dell’esame. Il timore dell’opposizione è che la maggioranza voglia dilatare i tempi sia al Senato che in Vigilanza, anche nella speranza di allargare il consenso sul nome di Simona Agnes per raggiungere il quorum dei due terzi nel voto sulla presidenza Rai.

Le proposte – Prima proposta in ordine cronologico è quella del senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, che si limita a ripristinare la figura del direttore generale, nominato dal Cda, al posto dell’Ad, indicato dal governo, in modo tale rompere il filo diretto tra vertice aziendale e esecutivo. Da Forza Italia è comunque in arrivo un testo più completo, che affronti anche altri temi relativi al servizio pubblico e al settore in generale. L’altra proposta della maggioranza è quella presentata da Mara Bizzotto della Lega: non prevede una fondazione, ma un Cda composto da sette membri, di cui quattro nominati dalla Commissione di Vigilanza con maggioranza dei due terzi e uno dai dipendenti. Il mandato è di cinque anni ed è rinnovabile. Presidente e Ad sono nominati dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, previo parere della Vigilanza. Si prevede, inoltre, che il canone venga eliminato entro cinque anni e che le risorse arrivino dall’aumento delle imposte e della pubblicità. Sul fronte dell’opposizione, il Movimento 5 Stelle ha presentato un testo, a firma Dolores Bevilacqua, che non contempla la fondazione, ma un Cda di sette membri, di cui tre nominati dal Parlamento in seduta comune a maggioranza dei due terzi su una rosa di nomi indicati dall’Agcom e due dai lavoratori. Il mandato è di sei anni non rinnovabili. Il presidente è nominato dal Capo dello Stato, l’Ad dalla Vigilanza a maggioranza dei due terzi su una rosa di cinque nomi indicata dall’Agcom. Le risorse sono fissate nella convenzione della concessione e ammontano ad almeno tre miliardi l’anno, provenienti dalla finanza pubblica e non dal canone. Le altre due proposte sono targate Pd e sono state presentate da Antonio Nicita e Andrea Martella. Entrambe prevedono la nascita di una fondazione, composta da dieci membri nel testo di Nicita e da undici nel testo di Martella (in entrambi i casi eletti da Parlamento, dipendenti e altre istituzioni), che ha il compito di nominare il Cda, composto da sette membri, a seguito di pubblica audizione, e di indicare il presidente. L’Ad è, invece, eletto dal Cda in conformità al parere della fondazione. Il mandato è di tre anni rinnovabile.