A cinque settimane dall’Election Day del 5 novembre, la corsa 2024 alla Casa Bianca resta incerta a livello dei Grandi Elettori, che sono quelli determinanti. Conta poco che, nei sondaggi nazionali, Kamala Harris appaia in leggero e crescente vantaggio su Donald Trump. Saranno decisivi gli Stati in bilico, dove i rapporti di forze tra Harris e Trump sono altalenanti, “così incerti da confondere le idee”, scrive sul New York Times Jess Bidgood, che pure è una che se ne intende.

In un contesto di fibrillazione s’intrecciano momenti propri di una campagna elettorale – il dibattito in tv del 10 settembre, vinto da Harris su Trump, e quello di martedì 1 ottobre, fra i vice Tim Walz e JD Vance – e momenti che non dovrebbero invece appartenerle, come il secondo fallito attentato a Trump, a metà settembre, mentre giocava a golfo nel suo club di West Palm Springs, Florida; o le minacce di non accettare l’esito del voto.

Virulenze verbali e violenze fisiche s’intrecciano, in un Paese che resta spaccato e dove i toni sono apri, specie da parte di Trump e Vance. Nell’analisi di Foreign Affairs, che dedica al tema il suo ultimo numero, “lo stile violento della politica americana” è “il nostro proprio peggiore nemico”: come a dire, il nemico “ce l’abbiamo in casa”, senza bisogno di andarlo a cercare altrove, in Cina o fra i migranti.

Una doppia prova è venuta da Trump, nel fine settimana. Nei comizi in Wisconsin e in Pennsylvania ha inasprito la sua retorica contro gli immigrati illegali e ha appesantito gli insulti personali contro la sua rivale, definendola “mentalmente disabile” perché non avrebbe fatto nulla in questi quattro anni per rendere sicuro il confine con il Messico dove lei è appena stata. Nonostante le critiche venute anche da vari repubblicani dopo quanto detto nel Wisconsin, Trump lo ha ripetuto in Pennsylvania, estendendo anzi la qualifica di “mentalmente disabile” al presidente: “Joe Biden è diventato mentalmente disabile, Harris è nata così”, ha affermato. “C’è qualcosa che non va in Kamala, e non so proprio cosa sia, ma c’è sicuramente qualcosa che manca…”. E ha poi ripetuto che i migranti appena arrivati dall’America centrale sono “assassini a sangue freddo”.

Il discorso di Prairie du Chien, nel Wisconsin, è stato quasi interamente dedicato agli immigrati, definiti “mostri” e “animali vili”. Trump era circondato da poster di immigrati illegali accusati d’omicidio o d’altri crimini violenti e da striscioni con la scritta “Stop ai crimini dei migranti” e “Deport Illegals Now”. L’ex presidente ha accusato Harris e Biden di aver permesso il loro ingresso negli Stati Uniti e ha accusato i migranti di “stuprare, saccheggiare, rubare, depredare e uccidere”. La scelta di Prairie du Chien non è stata casuale: qui un venezuelano entrato illegalmente negli Usa è stato arrestato a settembre perché accusato di avere abusato sessualmente di una donna e di averne aggredito la figlia.

Le preoccupazioni per il destino della democrazia americana, specie se dovesse vincere Trump che rivendica “un primo giorno da dittatore” alla Casa Bianca, si inquadrano bene nel rapporto dell’International Institute for Democracy and Electoral Assistance di Stoccolma: il 2023 ha visto un declino della democrazia nel mondo per l’ottavo anno consecutivo e il peggior declino, nell’ultimo mezzo secolo, in termini di credibilità delle elezioni e di potere dei parlamenti. Le cause sono diverse: intimidazioni governative, interferenze straniere, disinformazione e misinformazione e il maldestro o malevolo ricorso all’intelligenza artificiale.

Il Global Report on the State of the Democracy misura dal 1975 lo stato di salute della democrazia in 158 Paesi. L’Istituto di Stoccolma nota che, negli ultimi cinque anni, il 47% dei Paesi ha visto declinare indicatori democratici chiave: un’elezione su tre, in media, è oggetto di contestazioni e l’esito di una su cinque viene deciso dopo ricorsi giudiziari; e l’affluenza alle urne media è calata dal 65,2% nel 2008 al 55,5% nel 2023, che è stato l’anno peggiore di tutti. Il segretario generale dell’Istituto svedese, Kevin Casas-Zamora, commenta: “Le elezioni restano lo strumento migliore per arrestare il declino della democrazia e per rovesciare l’onda a suo favore… Il successo della democrazia dipende da molti fattori, ma diventa pressoché impossibile se le elezioni sono un fallimento”.

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