Un hacker di 24 anni è stato arrestato con l’accusa di aver violato più volte i sistemi informatici del ministero della Giustizia e di altri importanti società (tra cui Guardia di Finanza, Tim e Telespazio). Impiegato informatico a Roma, originario di Gela, il giovane ha ricevuto la notifica di arresto nel pomeriggio di giovedì primo ottobre. Nel corso della nottata la polizia postale ha eseguito una perquisizione grazie alla quale è stata sequestrata una imponente mole di dati che adesso è a disposizione degli inquirenti.

Il 24enne è accusato di essere riuscito ad acquisire anche fascicoli di indagine coperti da segreto investigativo. L’inchiesta, coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia e dal pool reati informatici della Procura di Napoli, è durata diversi anni e ha coinvolto diverse procure. I reati contestati sono accesso abusivo aggravato alla struttura dello Stato e diffusione di malware e programmi software, in concorso con ignoti, aggravati a luglio ed equiparati a reati di mafia e terrorismo.

Dopo avere compreso la pericolosità del soggetto arrestato “abbiamo deciso di non usare più mail, WhatsApp, e altri strumenti simili, anzi siamo tornati alla carta per timore che potesse intercettare qualcosa”, ha detto il procuratore di Napoli Nicola Gratteri nel corso di una conferenza stampa. La decisione di tornare alle riunioni in presenza e al trasferimenti degli atti “pro manibus” è stato adottato dopo un attacco durante il quale, ha spiegato Gratteri, l’hacker “ha tentato di entrare nelle mail di alcuni magistrati”.

Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, sempre nel corso della conferenza stampa, ha aggiunto che “l’hacker aveva la possibilità di controllare ogni contenuto dei sistemi informativi della giustizia”: “È stata una minaccia grave e sono stati verificati danni seri ai sistemi di sicurezza. La cooperazione istituzionale è stata importante ed è stato necessario l’impiego massivo di tecniche più sofisticate” ha spiegato Melillo. L’hacker aveva almeno 5 identità di copertura con le quali riusciva a violare i sistemi per reperire password e accessi che gli avrebbero permesso di scaricare e consultare migliaia di file – tra informative e atti di indagini – coperti da segreto istruttorio. Si tratta di una “indagine importante – secondo Melillo – perché Napoli è la prima a sperimentare questo metodo di lavoro e la nuova regola normativa che equipara i reati cibernetici a quelli di mafia e terrorismo. È emersa l’esigenza della protezione dei sistemi”. Il risultato è arrivato “grazie alla grande competenza del pool di magistrati e della Polizia Postale, insieme ad una legislazione adeguata e strumenti investigativi penetranti”. I primi accessi abusivi alle banche dati delle Procure sono stato riscontrati a Napoli, che ha subito aperto un’inchiesta che ha portato ad “elevare le barriere protettive che sono state attaccate profondamente” ha aggiunto Melillo.

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