Quando nel 2007 le Nazioni Unite dichiararono, su proposta del governo indiano, il 2 ottobre – anniversario della nascita di Mohandas K. Gandhi – Giornata internazionale della nonviolenza, quasi nessuno immaginava che, ignorandone l’insegnamento, nel giro di tre lustri l’umanità sarebbe stata di nuovo sul punto di precipitare nel baratro di una guerra mondiale e nucleare, con un doppio epicentro tra l’Europa e il Medioriente che potrebbe rapidamente unificarsi, mentre in Palestina si sarebbe compiuto uno sterminio.
Eppure, eravamo stati avvisati da Johan Galtung, il fondatore dei Peace Studies, gli studi internazionali per la pace ispirati proprio dall’opera di Gandhi, che – svolgendo un’analisi di diagnosi-prognosi-terapia di molti conflitti internazionali – si era soffermato anche sullo scenario di “seconda Guerra Fredda”, causato dall’agenda geopolitica degli Usa che prevede l’espansione globale a est con la Nato e a occidente con l’Anpo, il Trattato di sicurezza Usa-Giappone. Questa agenda – diagnosticava Galtung in quello stesso anno – ha interesse a portare le alleanze “a linee di rottura radicali ed esplosive”, che generano la “seconda Guerra Fredda” tra Usa/Anpo/Nato da un lato e Russia/India/Cina dall’altro. Ma ciò, ed ecco la prognosi, non durerà a lungo perché la “seconda Guerra Fredda” è una formazione conflittuale forte. “Un incidente minore – prevedeva il ricercatore norvegese – lungo il confine tra Polonia e Ucraina e queste faglie erutteranno lava come vulcani, con potenze nucleari dappertutto e senza alcun paese neutrale in mezzo a fare da cuscinetto”.
Analogamente, sul conflitto israelo-palestinese, dopo una analisi critica degli accordi di Oslo che non potevano funzionare a causa delle loro mancanze – per esempio l’esclusione di Hamas da un lato e del Likud dall’altro – e insufficienze, come l’assenza di simmetria in un accordo tra uno Stato forte e una “autonomia” debole, mentre un processo di pace si basa “sulla reciprocità, che a sua volta si basa sull’uguaglianza, diritti uguali e uguale dignità”, la prognosi di Johan Galtung era che per Israele e Palestina non ci può essere alcuna sicurezza lungo la strada della violenza. In particolare, spiegava, Israele si trova nel periodo di maggior pericolo della sua storia: “sempre più militarista, sempre più isolato e con sempre più nemici, esposto a violenza, nonviolenza e boicottaggio dall’interno e dall’esterno, con gli Usa che prima o poi condizioneranno il proprio appoggio sulla base delle concessioni israeliane” (Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare).
“Tuttavia – scrive ancora Galtung, e siamo alla terapia – “non esiste alcun conflitto – per quanto l’odio sia interiorizzato, il comportamento violento istituzionalizzato e la contraddizione, l’incompatibilità, il tema del conflitto insolubili – che non possa essere trasformato attraverso la nonviolenza” (Pace con mezzi pacifici). Ciò è possibile perché la nonviolenza non è una virtù “buonista”, ma è la forza dell’obiezione di coscienza personale e della disobbedienza civile collettiva alla guerra e – contemporaneamente – la preparazione di adeguati mezzi e strumenti, empatici e creativi, capaci di intervenire nei conflitti per risolverli senza la violenza e la soppressione degli avversari. Invece nei conflitti armati in corso, tutte le parti – anche chi dovrebbe svolgere una funzione terza di mediazione, come l’Unione Europea – hanno implementato solo gli strumenti della violenza e della guerra, in una folle escalation che si allarga da un fronte all’altro.
Come se questa ignoranza internazionale non bastasse, il governo italiano ha pensato di reprimere la nonviolenza anche come metodo di azione interna – che da Gandhi in avanti è stato usato con successo in molteplici lotte e resistenze, sia nei confronti di governi democratici che autoritari – con l’approvazione del cosiddetto “decreto sicurezza”, definito non a caso “anti-Gandhi”. Non si è fatta attendere, tra le molte voci critiche, quella del Movimento Nonviolento il quale in una lettera ai senatori ha ricordato che “nessun decreto fermerà mai la forza della nonviolenza che, come diceva Gandhi, è la forza più potente a disposizione dell’umanità. I regimi basati sulla paura, la violenza, lo stato di polizia alla fine sono sempre crollati sotto la spinta dei popoli che si liberano”. Continua la lettera del movimento fondato da Aldo Capitini e Pietro Pinna: “La storia di Gandhi e della nonviolenza lo sta a dimostrare. La disobbedienza civile, la non collaborazione, l’azione diretta nonviolenta, lo sciopero, il boicottaggio, l’obiezione di coscienza sono immensamente più forti e puri di qualsiasi decreto”.
Questo 2 ottobre, dunque – mentre anche il Libano viene invaso dall’esercito israeliano – non può essere una rituale giornata di celebrazione, ma l’occasione per approfondire la teoria e la pratica di un metodo di azione interno e internazionale, a disposizione di tutti e di tutte, capace di affrontare, gestire e risolvere gli inevitabili conflitti umani con la forza vivificante e lungimirante della nonviolenza, anziché con le armi mortifere e miopi della violenza e della guerra. La scelta sta a noi.