Alla madre aveva detto di non portargli più libri in cella perché tanto non gli sarebbero serviti. Alle sorelle aveva fatto la richiesta di un telefono nuovo per ricominciare a comunicare con il mondo dopo il 29 settembre, data in cui il blogger Alaa El-Fattah ha finito di scontare la condanna a cinque anni in un carcere del Cairo, e pensava sarebbe stato di nuovo libero. Non è stato così. Quando due giorni prima della data fatidica abbiamo incontrato a Londra Sanaa e Mona Seif, le sorelle dell’attivista considerato uno dei prigionieri politici di maggior profilo nella lotta per la democrazia in Egitto, il loro umore era un misto tra confusione e rabbia. Non volevano abbandonare la speranza per il fratello ma si aspettavano che le cose sarebbero potute andare così visto che, di fatto, nessuno al Cairo come al ministero degli Esteri britannico aveva dato loro alcuna risposta sulla data del rilascio. L’unica cosa di cui erano certe ce l’hanno detta con un nodo alla gola: “Ogni giorno dopo il 29 settembre aggiungerà atrocità a ciò che Alaa ha dovuto affrontare fino ad ora”.
Il caso giudiziario di Alaa
Alaa Abd El-Fattah, 42 anni, è un blogger ed esperto informatico appartenente ad un’intera famiglia di attivisti politici e, come tale, è stato un bersaglio facile per il governo egiziano che a partire dal 2006 lo ha arrestato (e rilasciato) più volte per aver partecipato a manifestazioni come la rivoluzione anti regime di Mubarak del 25 gennaio 2011 a piazza Tahir che ha fatto crollare il dittatore.
Nel 2013 è stato arrestato di nuovo, ufficialmente per aver incoraggiato una dimostrazione contro la nuova costituzione fuori dal Parlamento egiziano e dopo le proteste del 2019 contro la corruzione del presidente Abdel-Fatah al-Sisi, a cui Alaa non partecipò personalmente: quella volta è finito in un carcere di massima sicurezza egiziano. La condanna a cinque anni di reclusione questa volta era per aver “diffuso notizie false che mettevano in pericolo la sicurezza nazionale”. Ovvero, spiegano le sorelle, “ha ripostato un post sui social media su un prigioniero torturato a morte nelle prigioni, un post che non aveva neanche scritto lui”.
Alaa ha assunto la doppia cittadinanza britannica, come la madre, durante la sua detenzione del carcere di Tora dove è stato confinato in isolamento e sottoposto a tortura. Il suo sciopero della fame e poi anche della sete durante il Cop27 ha acceso l’attenzione del mondo sul suo caso, sostenuto da celebrità e politici in tutta Europa. La campagna per liberarlo #freealaa e #freedomforalaa è arrivata fino alle Nazioni Unite spinta da Sanaa Seif che per questo è finita tre volte in carcere al Cairo ed ora combatte per la liberazione del fratello da Londra. “Quando l’ho visto l’ultima volta da dietro un vetro nel carcere del Cairo ho cercato di prepararlo al fatto che non sembrava ci fossero preparativi per il suo rilascio ma lui era fiducioso e continuava a scriverci come se stesse per uscire – spiega Sanaa – Ora sono preoccupata per lui, perché non sappiamo quando questo potrà avvenire, è una condanna ad oltranza“.
In segno di protesta, sua madre Laila Soueif, 68 anni, già vittima degli abusi della polizia egiziana, ha iniziato un nuovo sciopero della fame: “Non mangerò finché Alaa sarà liberato. Ogni giorno in più che passa in prigione è una grave ingiustizia, superiore anche a quella della sua illegittima detenzione. A questo punto lo considero un rapimento” ha fatto sapere Soueif dal Cairo.
L’appello
La famiglia di El-Fattah, autore del libro Non siete stati ancora sconfitti, sostiene che la data che il governo egiziano ha già scritto sui documenti per il rilascio è gennaio 2027, contando i 5 anni di pena da scontare dal timbro ufficiale apposto sulla registrazione della sentenza di condanna invece che dall’inizio della prigionia durante i due anni di processo di fronte ad un tribunale di emergenza. Secondo Sanaa Seif, vittima dello stesso sistema carcerario, il governo starebbe cercando di riscrivere le regole, visto anche nel proprio caso la pena aveva cominciato a decorrere dal primo giorno di prigionia ed il suo rilascio fu poi immediato una volta finito di scontarla. I tentativi della famiglia di ottenere risposta dalla procura egiziana sono caduti nel silenzio e nonostante il sostegno iniziale dell’allora ministro ombra agli Esteri David Lammy, una volta passato dall’opposizione al governo, il laburista non ha ancora incontrato la due sorelle e dovrebbe farlo solo mercoledì prossimo, a scarcerazione non avvenuta.
“È triste ma non strano che l’Egitto si comporti così: è uno dei paesi più difficili al mondo per i giornalisti dove detenzione arbitraria, sparizioni forzate e processi ingiusti sono all’ordine del giorno. Non ci sono dati precisi sul numero di prigionieri politici in Egitto ma le varie organizzazioni per i diritti umani lo quantificano intorno alle 10mila persone, alcuni arrivano anche a 60mila perché alcuni sono rapiti o detenuti in luoghi gestiti dalle forze di sicurezza del governo – dice Fiona O’Brien, direttrice britannica di Reporters Sans Frontieres, che incalza – Alaa è anche cittadino britannico ed il fatto che rimanga in carcere dopo il 29 settembre rappresenta il totale fallimento delle istituzioni a Downing Street“.
Nell’incontro di mercoledì con il ministro David Lammy, Sanaa e Mona chiederanno che il governo britannico affermi pubblicamente che la detenzione di Alaa è arbitraria e che ci saranno conseguenze per l’Egitto se resterà in carcere. In ballo ci sono accordi commerciali tra i due Paesi del valore di 4 miliardi di sterline. “Con la crisi in Medio Oriente i ministri britannici hanno incontri più frequenti anche con le controparti egiziane, un’occasione per spingere sul rilascio di Alaa” dice Mona Seif.
A dare speranza a lei e alla sorella sono i casi di Julian Assange, Kara-Murza, quello dell’iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe e – quello più noto in Italia – di Patrick Zaki. “Conosco Patrick personalmente e sono stata molto felice per la sua liberazione, anche se ha dimostrato l’inefficienza del governo britannico che non sta facendo niente per Alaa – dice Sanaa – In Italia ci sono state pressioni su Giorgia Meloni e i prigionieri politici sono considerati. Se gli italiani sono riusciti a portare in patria i propri cittadini perché i britannici no?”.
A Londra per sostenere la campagna per la liberazione di Alaa, che ha un figlio autistico che non vede da cinque anni, è scesa in campo Nazanin Zaghari-Ratcliffe, la cittadina britannico-iraniana rimasta implicata in una disputa tra Regno Unito ed Iran (su un debito britannico di quasi 400 milioni di sterline) che le è costata la detenzione a Teheran nel 2016, fino a che dopo una serie di ritardi snervanti è finalmente rientrata libera a Londra nel marzo del 2022.
Nazanin ci mostra un cartellone su cui a Londra la figlioletta di allora sette anni ogni giorno disegnava una casella del calendario per arrivare al momento in cui finalmente avrebbe potuto riabbracciare la mamma mentre il marito Richard era in sciopero della fame davanti al ministero degli Esteri. “So per esperienza che la data del rilascio è estremamente importante per un prigioniero, passarla senza essere liberati crea un disorientamento immenso per tutta la famiglia. Ogni giorno che passa dal 29 settembre in avanti segna una doppia ingiustizia per Alaa” dice Nazanin guardando quel calendario con una luce di gratitudine negli occhi per la cruciale solidarietà che ha ricevuto da migliaia di persone e politici in tutto il mondo. Ora serve a Alaa.