Dopo mesi di trattative serrate, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato l’approvazione di un prestito di sette miliardi di dollari al Pakistan. La linea di credito concessa da parte dell’istituto con sede a Washington rappresenta una vera e proprio linfa vitale per il disastrato paese asiatico, alle prese con una crisi economica senza fine che rischia di minarne il fragile equilibrio interno.

Le discussioni che hanno occupato gli ultimi mesi sono state legate soprattutto alla necessità per Islamabad di implementare una serie di significative riforme istituzionali. Queste ultime sono necessarie per permettere al Pakistan di far fronte a un debito che ha raggiunto quota 130 miliardi di dollari, a fronte di un prodotto interno lordo che si aggira a circa 400 miliardi di dollari.

Al di là della situazione domestica pachistana, resa complicata anche dalla vicinanza e dalle influenze reciproche con l’Afghanistan, le dichiarazioni rilasciate a caldo dal primo ministro Shehbaz Sharif fanno capire quanto il Pakistan cerchi di muoversi con disinvoltura nel contesto internazionale. Il capo del governo di Islamabad si è infatti affrettato a ringraziare due “padrini” irrinunciabili, la Cina e l’Arabia Saudita. Stando alle sue parole, questi ultimi due avrebbero aiutato il paese a soddisfare le richieste del Fondo Monetario Internazionale, in modalità che non sono però state specificate. Gli investimenti che Pechino e Riad, in entità e con ricadute molto differenti tra loro, fanno confluire verso il Pakistan sono fondamentali per garantire quel minimo di dinamicità all’economia nazionale, altrimenti destinata a un progressivo affondamento.

Il paese asiatico è però corteggiato da più parti, un corteggiamento a cui risponde sempre con grande calore. Nei giorni scorsi il vice primo ministro russo, Alexei Overchuk, è stato in visita ufficiale a Islamabad, la più alta carica russa a visitare il paese dal 2021. Sharif ha dichiarato che il rafforzamento dei legami con la Russia è una “priorità importante” per la politica estera del Pakistan, anche alla luce della volontà di Mosca di supportare la richiesta pachistana di aderire al gruppo dei Brics.

In questa dinamica a pesare è anche la necessità per Mosca di ampliare il gruppo dei paesi amici, a causa dell’isolamento internazionale legato all’invasione dell’Ucraina. I legami col Pakistan trovano concretezza anche sul fondamentale fronte energetico: l’anno scorso la Russia ha accettato di fornire petrolio e gas al Pakistan a tariffe “scontate” per soddisfare il crescente fabbisogno energetico interno e industriale di Islamabad. Il crinale è però stretto per Sharif e il suo governo, considerando che ogni mossa troppo azzardata a favore di Vladimir Putin potrebbe costare caro in termini di sanzioni occidentali.

Pochi giorni prima della visita di Overchuk, era toccato a John Bass, sottosegretario di Stato Usa ad interim, intraprendere un viaggio ufficiale nel paese asiatico. Sul tavolo soprattutto la questione della sicurezza regionale, resa più complicata proprio a seguito del ritiro statunitense dall’Afghanistan dell’agosto 2021. Il Pakistan ricopre una grande rilevanza da questo punto di vista sullo scacchiere regionale e internazionale non solo per la sua posizione geografica, ma anche per il suo peso militare. E anche qui, nonostante gli storici legami su questo fronte con Washington, entra in gioco Pechino: Islamabad ha infatti appena annunciato la conclusione di un accordo con l’Azerbaigian per la vendita di una partita di jet da combattimento sviluppati in collaborazione con la Cina.

Come detto, la sfera militare ha sempre visto una grande collaborazione tra il Pakistan e gli Stati Uniti, un terreno su cui però la Repubblica Popolare ha compiuto significativi passi avanti. E, guardando alla notizia dal lato pachistano, l’accordo con Baku è invece indicativo di un crescente peso del paese asiatico: il leader azero Ilham Aliyev ha compiuto a luglio un viaggio in Pakistan per consolidare una relazione bilaterale già molto stretta e che vede coinvolta anche la Turchia, a sua volta molto vicina sia all’Azerbaigian sia al Pakistan.

Anche solo dal già citato punto di vista geografico, il secondo paese islamico per popolazione al mondo è sempre più un crocevia di influenze e di relazioni. Una realtà a cui contribuisce significativamente la necessità pachistana di giocare le proprie carte su tutti i tavoli possibili, soprattutto per individuare sempre nuove fonti di finanziamento. Dall’altro lato, un crescente numero di paesi vede il Pakistan come un partner che è bene avere dalla propria parte, per ragioni logistiche, militari o di rottura dell’isolamento diplomatico. E il cui eventuale collasso è visto come un vero e proprio spauracchio.

Di questo gruppo certamente non fanno parte né il nemico storico incarnato dall’India né, in modo più sfumato, l’Iran. Paesi che si guardano però bene dallo scatenare un’escalation contro il vicino. Il Pakistan è senza dubbio un gigante zoppicante ma, anche grazie all’ingente arsenale nucleare di cui dispone e alle devastanti ricadute che un suo crollo interno potrebbe causare, si ha tutto l’interesse a tenerlo in piedi.

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