Nell’attuale panorama geopolitico, il concetto di “doppio standard” sembra essersi consolidato nella gestione dei conflitti internazionali, con conseguenze profonde sul rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati. Un esempio eclatante è rappresentato dal confronto tra la reazione dell’Occidente all’invasione russa dell’Ucraina e quella all’invasione israeliana del Libano e dei territori palestinesi.

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la comunità internazionale, specialmente l’Occidente, ha reagito con forza, condannando l’azione come una violazione della sovranità ucraina e rispondendo con pesanti sanzioni economiche contro Mosca, oltre che con un massiccio invio di armamenti a sostegno di Kiev. L’invasione russa è stata riconosciuta unanimemente per ciò che è: un’aggressione a uno Stato sovrano.

Con l’invasione del Libano da parte di Israele, invece, la narrazione dominante è cambiata. L’invasione militare è raccontata come “incursione”, “operazione di comando” o “ingresso temporaneo”. Le reazioni internazionali sono meno severe: l’Occidente continua a mantenere rapporti commerciali con Israele e persino a fornirgli armi, nonostante le azioni militari comportino gravi crimini di guerra e contro l’umanità, come documentato da numerose organizzazioni internazionali.

Questo trattamento differenziato solleva interrogativi fondamentali sul rispetto del diritto internazionale. Il principio della tutela della sovranità territoriale non dovrebbe forse valere per tutti gli Stati, senza eccezioni? Il Libano, riconosciuto come Stato sovrano a livello internazionale, merita lo stesso livello di protezione che l’Occidente riserva all’Ucraina. Allo stesso modo, le norme del diritto umanitario internazionale, che vietano esplicitamente gli attacchi contro la popolazione civile, dovrebbero essere applicate con pari rigore sia nei confronti della Russia che di Israele.

I bombardamenti israeliani indiscriminati hanno causato migliaia di morti, incluse donne e bambini, e reso Gaza, e ora il Libano, teatri di distruzione. Tali atti sono stati condannati come crimini di guerra dalle Nazioni Unite, tuttavia, la risposta internazionale è rimasta debole, alimentando la percezione che Israele possa agire al di sopra del diritto internazionale, protetto dalla sua alleanza con Stati potenti.

Il nostro Paese, come membro della comunità internazionale e dell’Unione Europea, ha il dovere di agire. Non sono sufficienti appelli generici alla pace: servono misure concrete. È fondamentale sospendere la vendita di armi a Israele, come strumento per esercitare pressione affinché cessi le operazioni che violano i diritti umani. Inoltre, l’Italia dovrebbe applicare sanzioni contro il governo di Netanyahu, che ha perseguito una politica sempre più aggressiva, e spingere per la sospensione dell’accordo di associazione tra l’Unione Europea e Israele.

Solo attraverso azioni decise e coerenti con i principi del diritto internazionale potremo sperare di frenare la spirale di violenza che sta travolgendo il Medio Oriente. Se queste misure fossero state adottate in tempo, probabilmente non ci troveremmo di fronte alla catastrofe attuale. Il diritto internazionale non può essere selettivo: la sua applicazione universale è l’unico modo per garantire una pace duratura e una giustizia equa per tutte le popolazioni coinvolte.

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