Cinema

“Ho ucciso mio padre per salvare la mia famiglia. Sono stato condannato al carcere, ora la mia vita è diversa”: la storia di Luigi Celeste diventa un film

Il film "Familia", diretto da Francesco Costabile, si snoda attraverso una narrazione segnata dalla violenza, dal sangue e dalla voglia di riscattarsi

di F. Q.
“Ho ucciso mio padre per salvare la mia famiglia. Sono stato condannato al carcere, ora la mia vita è diversa”: la storia di Luigi Celeste diventa un film

Era il 2008 quando, a soli 23 anni, Luigi Celeste fu condannato per l’omicidio di suo padre. Un genitore, come lui stesso proverà più volte, violento, ucciso “per salvare mia mamma e mio fratello”. Oggi, 16 anni più tardi, Luigi di anni ne ha 39 e il suo passato diventa un film. Tratto dal suo libro, Non sarà sempre così, Luigi Celeste porta in sala quella che è la storia della sua vita, il racconto di quei tragici momenti in cui ha dovuto fare una scelta, pagandone le conseguenze. Diretto da Francesco Costabile, Familia debutta al cinema oggi, 2 ottobre, in una narrazione segnata dalla violenza, dal sangue e dalla voglia di riscattarsi.

“Se quella sera fossi uscito di casa – spiega Celeste in una lunga intervista a La Repubblica -, tornando avrei trovato mia madre e mio fratello non più in vita“. Una decisione obbligata, quella di brandire il coltello che poi userà per colpire suo padre, con l’unico intento, come dichiarato da lui stesso, di salvare la sua famiglia. Le conseguenze del suo gesto, però, sono severe. Il giudice ha ritenuto che il contesto di violenza domestica non giustificasse completamente le azioni di Celeste, che si dirà molto colpito dalla sentenza: “Speravo in un po’ di comprensione, una pena mite, la possibilità di tornare a casa”.

Ne conseguono diversi anni in prigione, lì dove, attraverso la scrittura, è riuscito a elaborare il dolore e la rabbia che, per tutta la vita, lo aveva segnato. “È nata lì la determinazione a trovare un riscatto, dimostrare ai magistrati che avevano sbagliato il giudizio nei miei confronti”, racconta Luigi, che ora vuole scrollarsi di dosso quel passato da skinhead dove ha trovato chi condivideva i suoi stessi sentimenti: “Non si arriva lì per caso, perché lo scegli, perché sei determinato a sposare ideali d’odio“. Ora, però, è tutto diverso.

È una nuova vita quella che, per lui, si prospetta dopo il carcere. Il trasferimento a Strasburgo, dove lavora come consulente informatico, un ruolo che ha ottenuto dopo aver studiato durante la detenzione. “Prima ero operaio, oggi lavoro per un’agenzia europea. Sono soddisfatto, anche se nulla è arrivato gratis”, spiega con lecita fierezza. Dopo oltre 30 anni di sacrificio, dunque, il valore della famiglia, ora, assume un significato diverso: “Mi chiedono spesso: come si esce da queste situazioni familiari? Mia madre era sola, ha sbagliato persona, si è trovata in una catena che ho dovuto spezzare”.

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