L’ennesima esternazione del Papa sull’aborto, questa volta, è stata particolarmente violenta, offensiva e irricevibile. Sgombriamo prima di tutto il campo rispondendo a chi dice che il Papa fa il Papa: certo Bergoglio ha tutto il diritto di ribadire il pensiero della Chiesa che condanna l’aborto e che definisce la donna che vi ricorre “peccatrice”. Ma non è questo il punto. Definire “sicari” i medici non obiettori e “assassine” le donne che abortiscono va molto al di là dall’estrinsecare un principio dottrinale, perché è un’interferenza di un Capo di Stato sulla legislazione di un altro Stato.
La legge 194 è una legge dello Stato italiano e come tale va attuata. I medici che adempiono a questo compito, rendendo possibile l’applicazione della legge, stanno svolgendo un servizio necessario: vanno quindi non solo rispettati, ma anche ringraziati perché permettono di superare un problema enorme in Italia: l’obiezione di coscienza. Un problema dovuto proprio al fatto che nei suoi articoli fu prevista la possibilità del personale sanitario di potersi rifiutare di adempiere ad un obbligo imposto dalla legge contrario ai propri convincimenti morali e alla propria coscienza.
Questo principio che poteva essere valido al momento dell’entrata in vigore della 194 e che è stato un compromesso per poterla approvare, a mio parere, non è più necessario oggi. Se tu medico/a oggi scegli di fare il ginecologo/a sai bene che, se decidi di lavorare in una struttura pubblica, potresti essere destinato a compiere interruzioni di gravidanza e se quindi questo è proprio contrario ai tuoi convincimenti scegli un’altra specialità – o di non lavorare in una struttura pubblica dove si praticano aborti.
Ma sappiamo bene che, molto spesso, l’obiezione a praticare l’Ivg non è dovuta a convincimenti morali, bensì a carichi di lavoro pesanti e difficoltà di fare carriera per i medici non obiettori.
Come sottolinea Silvana Agatone, componente del Comitato Scientifico di Laiga, Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Applicazione legge 194: “In un momento di violenza sul personale sanitario causata da un Ssn depauperato di risorse, di cui gli operatori sono vittime, in un sistema che non funziona e sono l’interfaccia con un pubblico che sfoga su di loro le proprie insoddisfazioni, la parola ‘sicari’ usata verso i ginecologi e le ginecologhe che non obiettano risulta essa stessa violenza”. Infatti la parola sicario letteralmente significa “chi uccide, chi commette assassinio su commissione, per conto cioè di un mandante”. E i mandanti sono le donne, le donne definite “assassine”: un termine violento che ferisce e oltraggia, un termine pesante soprattutto se detto da chi dovrebbe avere misericordia, compassione e quella pietà che la Chiesa predica spesso verso gli altri, che muove a soccorrere e a perdonare, non certo a stigmatizzare con durezza e inclemenza. Un termine che non deve essere rivolto a donne che non stanno compiendo nessun crimine, ma stanno solamente esercitando una libera scelta in uno Stato che, ancora, permette loro di farlo. Ma come dice Lea Melandri: “Che altro aspettarsi da una comunità di soli uomini che si proclama Santa Madre Chiesa?”.
Le reazioni di associazioni di medici, di donne, di femministe e in generale della società civile, a queste esternazioni di Bergoglio, sono state, con accenti diversi, immediate e di ferma critica. Quello che dispiace è invece constatare che le istituzioni, i partiti e la politica, con rare eccezioni, non abbiano sentito la necessità, pur con garbo istituzionale, di rispondere a questo attacco ribadendo che il principio della laicità dello Stato, iscritto nella nostra Costituzione, va difeso sempre, anche quando a infrangerlo è il Papa.