di Stefano Briganti
Ogni guerra nasce da un disegno politico che mira a rafforzare un equilibrio di potere o crearne uno nuovo. Machiavelli afferma che il signore/principe, per garantire il proprio potere nell’interesse dello Stato che governa, deve attuare una “buona” politica superando i vincoli dell’etica e della morale che potrebbero ostacolarla. Da qui deriva il famoso “il fine [politico] giustifica l’utilizzo di ogni mezzo [compresa la forza e la guerra]” e sappiamo che niente è più immorale di una guerra.
Si devono però costruire un casus belli e una narrazione da portare al popolo che dipinga il conflitto non solo come eticamente legittimo, ma anche moralmente doveroso. Non si poteva dire al popolo che la prima guerra mondiale nasceva dalla crescente preoccupazione di stati europei circa il potere dell’impero austro-ungarico che doveva perciò essere “ridimensionato” per dare spazio geopolitico a paesi come Inghilterra e Francia. In quel caso si usò l’attentato a Sarajevo e per la guerra non ci furono esitazioni. Alla fine l’impero austro-ungarico fu smembrato perdendo il 60% dei suoi territori e le colonie, ma l’Europa perse milioni di uomini.
Oggi ci sono due conflitti in pieno svolgimento. Per entrambi c’è un obiettivo geopolitico di potere a sostenerli e per entrambi si è costruita una narrazione per giustificare il coinvolgimento nel conflitto. Per la guerra israelo-palestinese da anni Israele vuole sottomettere la Palestina e allargare il proprio territorio con gli insediamenti dei coloni. Per contro sappiamo che la Palestina non vuole Israele sul suo territorio. L’attacco del 7 ottobre di Hamas ha permesso la reazione di Israele che vede la possibilità di raggiungere il proprio obiettivo geopolitico sterminando i palestinesi.
La narrazione costruita nell’Occidente che supporta Israele è quella della “legittima difesa” e della lotta al terrorismo di Hamas. L’etica e la morale di chi dice “basta con la stragi di civili” pur continuando a fornire armi per uccidere quei civili si dissolvono di fronte alla necessità geopolitica di mantenere un “alleato” saldo nella regione del Medioriente e di non alienarsi le simpatie politiche ed economiche di lobby potenti in casa propria.
Per la guerra russo-ucraina la scellerata invasione della Russia, motivata dalle stesse logiche espresse da Putin sin da Monaco 2003 e dalle conseguenze della rivolta del Maidan, ha permesso agli Usa di tentare l’obiettivo di abbattere la Russia, divenuta assieme alla Cina [autocracies] una minaccia alla posizione dominante americana [democracy] nello scacchiere geopolitico mondiale. Questi obiettivi geopolitici sono stati espressi da Biden in discorsi istituzionali nel 2022. Il mezzo per raggiungerli è l’Ucraina e questo consente di costruire la narrazione che vuole gli interventi bellicisti Usa/Nato a supporto di una legittima difesa dell’aggredito e necessari a ripristinare l’integrità territoriale del paese.
Oggi il Pentagono dice che qualsiasi nuovo sistema di arma che verrà fornito a Kiev non farà volgere il conflitto a favore dell’Ucraina, che perciò non potrà riprendere il Donbass e che non esiste nessuna arma che sarà determinante per la vittoria di Zelensky. Eppure si sta dando il via a usare armi Nato per colpire obiettivi in profondità sul territorio russo. E’ perciò una decisione politica che, cercando di provocare una risposta militare di Mosca ad un paese Nato, “legittimi” l’entrata dell’Alleanza nel conflitto. In questo modo gli schemi della guerra potrebbero cambiare e volgere a favore del raggiungimento degli obiettivi geopolitici Usa. Le conseguenze e il prezzo di uno sviluppo del genere, qualunque siano, sono evidentemente ritenuti accettabili, essendo il loro fine politico superiore e necessario al mantenimento del potere del Principe.
Margareth Albright, la politica Segretario di Stato, ebbe a dire circa la morte di mezzo milione di bambini iracheni per mano americana: “Sì. Ne è valsa la pena”. Né etica né morale, solo “buona” politica.