Victoria è la prima della sua famiglia a frequentare l’università. Ha 20 anni ed è una studentessa di medicina dell’Universidad Nacional de José Clemente Paz nella provincia di Buenos Aires. “Sto manifestando per difendere l’educazione pubblica di cui sono orgogliosa. I miei genitori non hanno avuto la possibilità di studiare, mio papà non ha finito le elementari. Io posso studiare e voglio che questo continui a essere un diritto per tutti”, racconta a Ilfattoquotidiano.it mentre cammina per raggiungere Plaza del Congreso. La piazza dove hanno sede le Camere, nella capitale argentina, è stata il luogo dell’appuntamento finale della manifestazione in difesa dell’educazione e dell’università pubblica colpita dai tagli del governo di estrema destra.

Mercoledì 2 ottobre, studenti universitari e delle scuole superiori, professori e rettori, personale non docente delle università e sindacati sono scesi in strada per opporsi al veto che il presidente Javier Milei ha utilizzato, poche ore dopo l’inizio della manifestazione, per fermare la Ley de Financiamiento Universitario. Già approvata dalle Camere, la legge prevede un incremento delle voci di bilancio per il funzionamento degli atenei, insieme a un adeguamento degli stipendi dei docenti e del personale non docente. Per il leader del partito La Libertad Avanza, si tratterebbe di una “misura irresponsabile” che metterebbe a rischio il raggiungimento dell’equilibrio fiscale. Adesso la palla passa di nuovo al Congresso che deve approvare il veto oppure respingerlo.

“Non staremo fermi ad aspettare che ci rubino il futuro”, commenta Brian, tra il milione e mezzo di persone che hanno protestato in tutto il Paese. Studente di arte presso l’Universidad Nacional de las Artes, sfila insieme ai colleghi della sua facoltà che cantano e stringono cartelli con le parole: “Perché avete così paura di educare la gente?”, “L’istruzione pubblica è libertà”, “La conquista più grande è che le università sono piene di figli di operai”, “Il professore che manifesta è un professore che sta insegnando”. In nove mesi di governo, i tagli al bilancio sono stati brutali. Tra le misure per combattere il deficit dei conti pubblici, agli inizi del 2024 Milei ha prorogato il bilancio statale del 2023 ma nel frattempo nel Paese l’inflazione su base annua è arrivata a raggiungere il 288%.

La motosierra del presidente ha diminuito, in termini reali, i fondi destinati alle università nazionali del 31% rispetto all’anno precedente. Così alcuni atenei hanno dovuto tenere lezioni al buio o in strada, non hanno sempre avuto a disposizione risorse per pagare le utenze e in inverno non hanno potuto sempre accendere i riscaldamenti. Nel Paese ci sono 115 università e l’80% dei 2,5 milioni di studenti frequenta 63 atenei pubblici, secondo i dati ufficiali del Departamento de Información Universitaria. “Stiamo parlando di un problema concreto. Il bilancio universitario è congelato ai valori dell’anno scorso e non tiene in considerazione l’aumento dell’inflazione. Significa che non ci sono fondi per il funzionamento delle attività e ancor peggio per gli stipendi dei lavoratori docenti e non docenti come il personale amministrativo”, commenta Cristian Henkel, professore, ricercatore universitario e rappresentante del sindacato Asociación Greminal Docente de la Universidad de Buenos Aires. “Ma investire sull’università significa gettare le basi per lo sviluppo del Paese”.

Secondo i dati del Consejo Interuniversidario Nacional (CIN), la situazione economica dei lavoratori delle università ha raggiunto un punto critico e i salari non riescono a coprire i bisogni di base. Stando a una ricerca realizzata dalle Universidad Nacional de Río Negro e l’Universidad Nacional de San Martín, oltre l’85% degli insegnanti e oltre il 60% degli studenti sono al di sotto della soglia di povertà. “Quanto tempo ancora un docente potrà insegnare senza essere pagato come dovrebbe? Per quanto si può fare ricerca scientifica di alto livello senza investimenti? La situazione in cui ci troviamo prepara la fuga dei cervelli. I docenti argentini sono molto competitivi, hanno raggiunto ottimi risultati sia nell’insegnamento sia nella ricerca. Ma se ti trovi in difficoltà economiche e non riesci a mantenere la tua famiglia, inizi a porti molte domande. Se qualcuno ti tenta, puoi valutare la decisione di andartene”, dice Choe Hyon Ju, cardiochiruga pediatrica e docente presso l’Universidad de Buenos Aires (UBA).

L’ateneo è il più grande del Paese con 385.048 studenti: secondo il QS World University Rankings, è tra le 100 migliori al mondo ed è in testa alla classifica dell’America Latina davanti all’Universidade de São Paulo (USP), la Pontificia Universidad Católica de Chile (UC) e la Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM). I cinque vincitori argentini del Premio Nobel hanno frequentato la UBA. “Siamo in strada per tutelare questo patrimonio. Vogliamo continuare a garantire educazione di qualità e gratuita, come già facciamo con dedizione, e vogliamo continuare a fare ricerca perché è lo strumento per lo sviluppo di un Paese, per fermare l’ignoranza, per progredire. Io vengo da una famiglia che non ha potuto studiare all’università e sono arrivata a essere dove sono oggi grazie all’istruzione pubblica che fa questo: permette di migliorare la tua vita, è uno strumento di mobilità sociale”.

Nelle settimane precedenti alla manifestazione e di fronte al crescere delle adesioni, il governo ha provato a screditare l’evento. Dopo un tavolo fallito con i sindacati, in cui era stato proposto un minimo aumento dei salari dei docenti ritenuto non sufficiente, il ministero del Capitale umano guidato da Sandra Pettovello ha rilasciato dichiarazioni in cui sosteneva che il sistema universitario era colpevole di portare avanti una “cattiva amministrazione” e ha affermato che gli atenei inventano il numero di alunni per ottenere fondi. “Il governo dice che questa è una marcia organizzata dai partiti, ma non è vero. È una giornata per difendere il diritto all’istruzione”, dice Sol, che indossa un camice bianco, dottoranda in Scienze esatte presso l’Universidad Nacional de la Plata. “È emozionante essere qui”, aggiunge Flor, studentessa di Scienze sociali all’Universidad Nacional Madres de Plaza de Majo. “Quando ho visto in quanti siamo, mi sono commossa”.

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