Per la Casa Bianca si tratta del più grande pacchetto di aiuti militari forniti a Taiwan, da quando sono iniziate le frizioni tra l’isola e la Cina. Pechino ha dichiarato senza mezzi termini che dopo Hong Kong toccherà a Taiwan rientrare nella sfera di “una sola Cina”. In un memorandum che richiama la legge del 1961 per l’assistenza all’estero, il presidente Joe Biden ha ordinato poche ore fa “il prelievo di un massimo di 567 milioni di dollari in articoli e servizi di difesa del Dipartimento della Difesa, nonché in istruzione e formazione militare, per fornire assistenza a Taiwan”.

La Casa Bianca specifica che questa iniziativa è finalizzata a rispondere ad “emergenze impreviste”. Come dire, anche se la Cina al momento non ha messo in atto piani di invasione e si è limitata a manifestazioni di forza, inviando attorno a Taiwan jet e navi da guerra, la cautela è obbligatoria. Il nuovo pacchetto di aiuti segue l’approvazione, nello scorso aprile, dell’Indo Pacific Security Supplemental Appropriations Act, che aveva previsto due miliari di dollari da destinare agli alleati degli Stati Uniti nella regione; oltre a Taiwan, ne beneficiano le Filippine.

Nella lista delle armi da destinare a Taipei ci sono i missili Harpoon, ritenuti fondamentali nelle battaglie navali: già nel 2020 era stata concepita una potenziale vendita di 400 missili, a cui se ne aggiungeranno altri 126 che dovrebbero essere consegnati entro il 2026. A metà settembre era arrivato un primo lotto di caccia F-16: Taiwan, assieme a Bahrein e Slovacchia, è tra i Paesi ad aver ricevuto l’ultima versione del jet da combattimento; nel 2019 gli Usa avevano approvato la vendita di 66 F-16V, valore 8 miliardi di dollari. La vendita degli F-16 considera anche l’addestramento dei piloti taiwanesi, 65 di loro faranno il periodo di prova per imparare tattiche da guerra in una base di Tucson, Arizona. Non si parla solo di missili antinave o caccia, Washington ha anche previsto con quest’ultimo pacchetto di rifornimenti l’invio di carri armati Abrams M1A2T che dovrebbero essere consegnati a Taipei entro dicembre.

Cosa ne pensa Pechino è ben chiaro, ed è stato ribadito dal ministro degli Esteri cinese, Wang Yi durante il suo discorso, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York un paio di giorni fa. “Non esistono due Cine o una Cina-una Taiwan. Su questo tema non esiste una zona grigia. Taiwan alla fine tornerà all’abbraccio della madrepatria, questa è la tendenza dominante della storia che nessuno può fermare”. Ma, Taiwan a parte, è tutta l’area a vivere una fase di alta tensione: Filippine e Cina hanno un contenzioso aperto nel mar Cinese meridionale, tra cui le secche di Scarborough, occupate dalla guardia costiera di Pechino. Una conseguenza delle rivendicazioni del Dragone che da tempo ormai annuncia il suo diritto sul mar Cinese meridionale, a dispetto delle richieste avanzate da Brunei, Malesia, Filippine e Vietnam. Mentre il ministro Wang Yi sottolineava all’Onu che il destino di Taiwan è segnato, Australia e Filippine hanno programmato un ciclo di attività marittime con Giappone, Nuova Zelanda e Stati Uniti, nella zona economica esclusiva di Manila.

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