di Giuseppe Castro

Il mio capo è un imbecille! Chi non ha mai pensato qualcosa del genere di un proprio superiore?! Questo concetto, che a prima vista sembrerebbe motivato dall’invidia e dalle incomprensioni dei sottoposti, nasconde dietro di sé una problematica fondamentale delle organizzazioni gerarchiche. Si tratta del cosiddetto principio di Peter: “In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza”. In altre parole, un individuo sale nella scala gerarchica fino alla posizione lavorativa in cui si dimostra inadeguato. E in quella posizione poi rimane, danneggiando i sottoposti e l’organizzazione cui appartiene.

Per quanto in apparenza paradossale, tale principio è stato dimostrato scientificamente (A. Pluchino et al., Physica A, 389, 467, 2010). Dobbiamo quindi rassegnarci al fatto che, probabilmente, il nostro capo è effettivamente un imbecille. La conseguenza più drammatica del principio elaborato dallo psicologo Laurence Peter è probabilmente il suo corollario politico: “Un politico scala la gerarchia del suo partito fino ad assumere un ruolo in cui è incompetente”. La situazione in realtà è anche più complessa. La dirigenza di un partito viene generalmente selezionata sulla base della fedeltà al leader o della capacità di attrarre voti in un territorio. Solo marginalmente sulle sue qualità amministrative. Quindi i leader di un partito, abilissimi nei giochi di potere necessari per scalare il partito stesso, sono spesso incompetenti nell’amministrazione del territorio, cioè di quello di cui dovrebbero occuparsi in caso di vittoria alle elezioni.

È il paradosso del principio di Peter applicato alla democrazia: nell’arco di qualche generazione, le classi dirigenti tendono a riempirsi di individui sempre più bravi a gestire il potere interno al partito, ma incapaci di governare e considerati poco più di un peso dai governati. Nel migliore dei casi uno shock esterno permette di terremotare la vecchia classe dirigente e di sostituirla con una nuova, finalmente efficiente. Può però accadere che la democrazia in declino evolva gradualmente verso un regime autocratico, regime che si istaura facilmente quando la popolazione non si fida dei governanti e attende l’uomo del destino per risollevare le sorti della nazione.

Se volgiamo lo sguardo al passato, il collasso delle democrazie è avvenuto quasi sempre così. Ripensiamo alla fine della repubblica romana con Giulio Cesare, a quella dei comuni italiani con le signorie o della democrazia italiana nel 1922 col fascismo.

L’astensione dal voto del 50% della cittadinanza è un segno inequivocabile della sfiducia dei cittadini nella classe politica che governa l’Europa, e quindi dei seri rischi che corre la democrazia. Col declino della vecchia classe dirigente, due novità politiche sorgono all’orizzonte: una sinistra di nuova concezione che mira al rinnovamento politico e ad una profonda azione riformatrice entro il paradigma democratico, ed una estrema destra securitaria che mira a limitare le libertà individuali in favore di una sicurezza collettiva, preludio di una probabile deriva autoritaria.
È singolare in tal senso che la declinante classe politica attuale simpatizzi molto di più per l’estrema destra, che pensa di poter normalizzare e inserire nell’attuale sistema di potere, che per la sinistra riformatrice, che per vocazione aspira a superare lo status quo.

I prossimi anni saranno determinanti per risollevare le sorti della nostra democrazia. Scendere in campo e tentare di rigenerare l’attuale classe dirigente è essenziale per garantire un futuro democratico anche ai nostri figli. I fronti progressisti che si diffondono in tutta Europa rappresentano, al momento, l’unica speranza di un concreto rinnovamento delle istituzioni italiane ed europee. E’ importante fare ogni sforzo per sfruttare al massimo le occasioni che avremo nei prossimi anni, anche perché la storia ci dice che le occasioni a disposizione potrebbero non essere poi così tante.

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