Dopo la prima al Rasi di Ravenna lo scorso maggio, Sole e Baleno ricomincia le repliche al Teatro delle Maschere di Roma l’8, il 9 e il 10 ottobre 2024
“Il banco vince sempre”. Bisogna avere molto coraggio nell’evocare spirito e poetica di Bertold Brecht, come l’allegorica e vigorosa osservazione di “quell’ambigua verità” a cui ci ha abituato, e a cui ci ha inchiodato, il potere in ogni sua forma. Il drammaturgo e attore Pietro Babina con Sole e baleno (Una favola anarchica) compie un miracolo molto brechtiano proprio nell’epoca di un mercato politico ideologico asfittico e marchettaro del teatro italiano contemporaneo (i denari pubblici arrivano se le drammaturgie sono consone al conflitto conformista da talk show): creare un corto circuito tra inganno strafottente dall’alto e purezza idealistica dal basso. E per farlo ha bisogno di riferimenti umani e storici intonsi che non possono essere confusi con il quadretto candido delle fittizie dicotomie destra-sinistra del Novecento. I Sole e Baleno del titolo richiamano con garbo le vicende della giovane argentina Soledad Rosas e del giovane anarchico torinese Edoardo Massari.
Due ragazzi che si incontrarono casualmente in una casa occupata nel 1997e per un anno condussero insieme, e con altri loro compagni di lotta, la battaglia contro l’alta velocità in Val di Susa. I due vennero presto accusati di sovversione e terrorismo, quindi arrestati. Edoardo morì impiccato in cella. Soledad morì nel bagno della casa dove scontava i domiciliari. Quattro anni dopo la loro morte la Corte di Cassazione sentenziò la mancanza di prove per quelle accuse. Sole e Baleno rivivono grazie ad una sobria e magnetica messa in scena dove lo scheletro e il senso dell’innesto musicale dell’Opera da tre soldi di Brecht si fonde con un’idea statica e concentrica della performance, quasi fossimo di fronte alla creazione scenica di un esplosivo radiodramma. Serena Abrami, Babina e Alberto Fiori (che distorce in chiave techno e fa rumoreggiare magistralmente gli echi di Kurt Veill) siedono fronte pubblico, abiti e stivaletti neri, con davanti a loro i pc aperti, il mixer, gli oggetti per riprodurre i suoni live, aste dei microfoni a mezz’asta, cuffie per l’ascolto sulle orecchie.
I cartelli brechtiani finiscono su un display meccanico alle spalle degli attori (Abrami e Babina anche cantanti) a punteggiare la quindicina di canzoni/ballate/sussurri che si amalgamano naturalmente al recitato. Testo che si allontana (per forza) dai protagonisti dell’Opera da tre soldi per irradiarsi gradualmente come farsa tragica, ramificazione arteriosa, nella cronaca storica dei due veri anarchici. Anche se è la chiave grottesca, una specie di riverbero ghignante alla Indagine… di Petri, a innervare, a far guizzare testo e performance di Abrami e Babina naturalmente Sole e Baleno (“l’uno dell’altro vedono l’anima ma non il veleno”), ma soprattutto continuamente sdoppiati nei personaggi dal simbolismo sovraesposto della “giornalista”, del “giudice” e del “questore”.
Questi ultimi tre ritratti come un malmostoso e untuoso coacervo di corruzione, adulazione, confabulazione e affermazione delle funzioni di potere socio-politico in grado di orientare radicalmente il corso degli eventi e il destino di due innocenti. “Il ruolo di un giudice comincia ancor prima che un caso, un reato, si concretizzi. Il giudice lo deve prevedere, deve saperlo immaginare. A volte, quando si rende necessario, quando una determinata situazione politica lo richiede, lo deve creare”, discetta il giudice di fronte all’adorante giornalista. Ma è nella rappresentazione idealistica di Sole e Baleno, dell’essere ontologicamente antagonisti, qui in chiave eco-terroristica screziata di sentito animalismo, affinchè “il potere abbia un antagonista naturale che gli impedisca di dilagare, di sottomettere tutto e tutti, di distruggere ogni cosa, perché il potere, senza alcun ostacolo, conduce al totale annientamento”, che l’opera si fa più radicalmente schietta ed eticamente necessaria. Babina costruisce una drammaturgia dove si fondono la magia surreale e sporca brechtiana con una forma filosofica di ribellione totalizzante; dove l’eccentricità dei brani musicali, lanciati diretti dai ritmi del cabaret anni venti verso le raffiche da lanci retorici dei tg anni duemila, fa emergere l’inquietante omologazione del presente, con il dissenso finito per essere tristemente parte integrante del sistema, con un incontestato potere sovranazionale oramai autoimposto senza troppe macchinazioni.
“La storia di Sole e Baleno racconta di un momento in cui la biodiversità ancora era visibile e più presente – spiega Babina nelle note di scena – dove i fiori selvatici crescevano ancora ai bordi delle strade e non si vergognavano né di essere selvatici né di vivere ai bordi delle strade e che, anche se spesso non lo abbiamo capito, con la loro irruente diversità e ricerca della libertà, tutelavano anche la nostra”. Dopo la prima al Rasi di Ravenna lo scorso maggio, Sole e Baleno ricomincia le repliche al Teatro delle Maschere di Roma l’8, il 9 e il 10 ottobre 2024.